Gina ed il senso della vita
I sensi nella persona umana sono cinque: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto. Dove e come si esprimono meglio questi “sensi” fino a farne il “senso” della vita stessa?
Gina Menegazzi si è posta la domanda molti anni fa ed ha dato la sua risposta con la sua scelta di vita. La incontro in una domenica dell’estate di novembre sul pontile che collega l’abitato di Ischia Ponte, l’antico Borgo di Celsa, con il Castello Aragonese, il più importante monumento dell’isola d’Ischia che racchiude tutta la sua storia millenaria.
Anche questo pontile ha la sua storia antica. Ha una lunghezza di 225 metri e fu realizzato nel 1423 per volere di Alfonso d’Aragona. Ci sediamo su una panchina di roccia per il nostro colloquio mentre giovani ed anziani passeggiano in questa giornata di sole. Ad Ischia il sole è di casa, tanto che vi passa l’inverno.
Gina Menegazzi ha oggi 61 anni. E’ nata a Milano da padre veneziano e madre friulana e qui ha vissuto e lavorato fino a qualche anno fa. E’ laureata in lingue e letterature straniere ed è diplomata interprete parlamentare. Dopo tanto lavoro a Milano, città dalla quale si è sempre sentita estranea, la separazione dal marito, i figli grandi ormai - Silvia, 31 anni, laureata in conservazione dei beni culturali a Venezia e che vive a Firenze e Alessandro, 29 anni, informatico, che vive a Genova - la sua scelta di vita di vivere ad Ischia, di acquistare un appartamento di 70 metri quadrati con tre camere da letto, due bagni ed un balcone proprio qui nel Borgo di Celsa in un palazzo antichissimo del XIII secolo che faceva parte del convento dei Padri Agostiniani. L’ha chiamata la casa dei “cinque sensi” perché sono solleticati dal mare, risvegliati dal mare. Dalla casa si vede il Castello Aragonese, la rada dei pescatori, Vivara e Procida. Di una stanza ne ha fatto un romantico Bed and Breakfast per turisti intenditori che arrivano da tutte le nazioni del mondo, dall’Australia al Sud Africa, da marzo ad ottobre.
“A Milano ho lavorato come libera professionista, interprete e traduttrice dall’inglese e dal francese, che preferisco, ed i miei genitori mi hanno portato in vacanza ad Ischia fin da quando avevo due anni. Poi siamo sempre ritornati ogni anno anche perché mio padre era cugino di Vera Menegazzi, moglie di Piero Malcovati, il medico milanese che portò Angelo Rizzoli ad Ischia negli anni ‘50 per realizzare i grandi alberghi e gli stabilimenti termali di Lacco Ameno. Eravamo ospiti dei Malcovati nella loro casa antica chiamata “Lo scuopolo” ad Ischia Ponte”, mi dice all’inizio del colloquio.
“Così Ischia è diventata parte di me ed ho cominciato a studiare la sua grande storia e ne sono rimasta affascinata. Ho scritto le mie prime impressioni su Ischia quando andavo alle elementari perché la maestra ci fece portare una ricerca sul luogo delle nostre vacanze”, mi sottolinea.
Fu nella bella casa di Malcovati che Gina trovò nella ricca biblioteca, oltre trent’anni fa, un libro in inglese su Ischia. Si intitolava “Island in the Sun” ed era stato scritto da Geoffrey e Kit Bret Harte e pubblicato a Londra dall’editore Hodder and Stougton nel 1937.
“Cominciai a leggerlo e rimanevo sempre più affascinata dal racconto tanto che iniziai la traduzione in italiano ma non riuscivo mai a completarla. Ho impiegato 12 anni per terminare la traduzione forse perché avevo bisogno di immergermi completamente nei luoghi stessi del libro, coglierne le stesse sensazioni degli autori. Il mestiere del traduttore impone di entrare nella mentalità dell’autore, di essere “fedele ma nell’infedeltà all’autore” perché la traduzione non può essere letterale” mi spiega.
Del resto ha applicato alla lettera la lezione che le fece Fausto Malcovati, figlio di Piero e docente presso l’Università di Milano: “se vuoi conoscere un popolo devi studiarne sia la lingua – a Scuola Interpreti - sia la cultura – all’Università; una sola delle due non basta”.
Così, dopo settantasei anni di oblio, ha riportato alla luce, traducendolo in italiano, “L’isola del sole”, il toccante racconto di un anno passato ad Ischia, dal maggio del 1930 alla primavera del 1931, di Geoffrey e Kit Bret Harte, una giovane coppia inglese, sufficientemente agiata, che nonostante il consiglio negativo del portiere dell’albergo di Capri, allora già famosa, dove i novelli sposi passarono i primi giorni, decise di trascorrere il primo anno di matrimonio in quest’isola del Mediterraneo allora scarsamente conosciuta.
Geoffrey e Kit annotano tutto del loro soggiorno. Geoffrey ha un quaderno di appunti e Kit un diario. Geoffrey ha 35 anni e Kit 25. Soltanto 7 anni dopo il loro soggiorno decidono di farne un libro. Un libro del tutto particolare di un anno particolarmente felice di un’unione tra un uomo ed una donna straordinariamente felici. Questa felicità è alimentata dal mondo che li circonda, non solo dalla bellezza dell’isola dove il sole c’è sempre e nessuna casa ha un camino ma tutt’al più un “braciere” per l’inverno, ma dalla cordialità degli abitanti. Un popolo felice pur nel duro lavoro dei campi o della pesca dove non ci sono mendicanti, la luce elettrica arriva solo di sera, il liquore dei pochi caffè è il vermouth, non ci sono prezzi fissi nei pochi “empori” ma una contrattazione quotidiana sul prezzo.
Geoffrey e Kit non scrivono una guida per i viaggiatori ma un libro che racconta questo loro anno in un posto “splendido”, “felice”, “meraviglioso” (gli aggettivi superlativi che abbondano nel libro) reso tale non solo dalle bellezze naturali – le spiagge, l’acqua termale per curarsi, i paesaggi - ma dalla cordialità degli ischitani, dalla loro disponibilità, dal loro senso del rispetto e dalla loro generosità. Descrivono con commozione, quasi incredulità, i doni di Natale che portano loro i domestici – Giovangiuseppe e Dominica – ai “Signori” nella casa che hanno preso in fitto – la “Villa Buonocuore” ora (“l’Araucaria”) e rimangono senza parole quando il vecchio proprietario, il Colonello Buonocuore viene appositamente da Napoli per salutarli e non per constatare l’inventario, cioè come lasciano dopo un anno la sua casa.
“E’ stata la lettura di questo libro, la sua traduzione, che mi ha fatto ancor di più innamorare dell’isola d’Ischia. Quell’isola, caro amico, c’è ancora. La gente di oggi è come quella di circa un secolo fa. Non è cambiata. Solo, non se ne rende conto.” Mi dice.
E nel libro è struggente il racconto della partenza avvenuta il 6 aprile 1931 con i due pescatori che fermano il vaporetto la “Principessa Mafalda di Savoia” per consegnare il pacchetto con le due bottiglie di vino a loro regalate dal loro amico Amedeo Giusto di Barano.
Il loro amico Amedeo aveva scritto su un foglio “in inglese con la sua scrittura ordinata, le parole: “Buoni amici. Un felice viaggio, un pronto ritorno”.
Non ritornarono mai più. I tempi della vita non glielo permisero. Vissero negli Stati Uniti d’America ed ebbero due figli di cui uno, John Bret Harte, nato a Roma nel 1932 è morto a 80 anni in Arizona.
Ma come è andata la lunga vita di Geoffrey e Kit non lo sappiamo. Gina sta facendo ricerche.
E’ certo che quell’anno felice li ha accompagnati per tutta la vita.
P.S. Il libro “L’isola del sole – racconto di un anno particolarmente felice” è pubblicato da Imagaenaria (2013)
Euro 12,90.