La voce delle pietre
L’isola d’Ischia, grazie alla sua conformazione geo-morfologica ed alle peculiarità climatiche, rappresenta un unicum ambientale, vantando un ricchissimo patrimonio naturale e distinguendosi per la sua geo e biodiversità. L’appellativo più comune che viene dato a questa oasi al centro del Mediterraneo è “isola verde”. E’ immediato il rimando alla fitta e rigogliosa vegetazione, che, soprattutto sul versante nord orientale, si estende lussureggiante.
Ma, certamente, l’elemento che la qualifica maggiormente è la tipica roccia isolana, il “tufo verde”, che caratterizza anche l’impianto architettonico di alcune zone dell’isola, in particolare di Forio ed è visibile all’occhio attento di un osservatore sapiente. La roccia verde è la testimonianza della storia geologica di questo territorio. Infatti, in passato, a seguito di assestamenti tettonici, grossi massi di tufo verde sono rotolati giù dal monte Epomeo e sono diventati elementi architettonici perfettamente integrati con il territorio.
La stretta relazione che intercorre tra aspetti naturali, geologici, storici e culturali, rende il viaggio di scoperta dell’isola un modo per osservare e vivere il territorio in chiave sistemica, evidenziando le forti identità locali perfettamente integrate con l’ambiente naturale. Il percorso qui proposto è proprio un esempio di come l'intreccio tra storia e architettura (interventi antropici di antica data), si armonizzi con l’ambiente, ma vuol essere anche un contributo affinchè ci sia una maggiore presa di coscienza rispetto alla cura di questo territorio, alla sua tutela e valorizzazione.
Dal parcheggio del Ristorante “Cenerentola”, ai confini esterni della frazione di Panza (comune di Forio), si procede, per 100 m circa, sulla strada principale, fino ad immettersi in Via Pietra, costeggiata da antiche case e cantine contadine ed introdotta da un enorme masso di tufo verde, che ci ricorda il passato tumultuoso dell’isola e la maestosità degli eventi che qui si verificarono. E’ particolare il modo con cui un elemento naturale viene qui trasformato dall’intervento dell’uomo: la roccia è stata scavata tanto da creare, nel suo alveo, nove ambienti adibiti a cantine, con relative cisterne per la raccolta dell’acqua. Nella logica contadina del riutilizzo di ogni prodotto naturale, il materiale sottratto durante lo scavo è stato usato per costruire le abitazioni stesse, al di sopra del masso di tufo verde. L’intervento contadino è chiaro anche nei muri a secco (le cosiddette “parracine”) che, costruiti con la stessa pietra locale, delimitano il percorso. Anche qui l’elemento naturale accompagna quello umano: tra le fessure e sulle pietre delle parracine e lungo la stradina lievemente in salita crescono diverse piante selvatiche (edere, parietarie, caccia lepri, capperi, ecc.), mentre si possono notare, dietro i muretti, i campi coltivati a vite e ad alberi da frutto.
Giunti a via Costa, si prosegue in salita fino ad un incrocio, segnalato anche dalla presenza del bar “Faro”. Alla sommità, la vista si apre sul promontorio di Punta Imperatore, con poderose formazioni rocciose vulcaniche, la cui caratteristica antropica principale è il faro, il cui fascio luminoso arriva tuttora fino al Circeo.
Di fronte il mare aperto, dove, nelle giornate particolarmente limpide, è possibile riconoscere le isole Pontine ed in particolare Ventotene e Santo Stefano, le pareti rocciose si ergono caratterizzate dalla presenza di diversi materiali vulcanici stratificati. La sensazione qui è quella di leggere un libro di storia, che ci racconta le varie fasi della genesi del luogo, antiche quanto l’isola stessa. Il promontorio di Punta Imperatore è il risultato di diversi eventi vulcanici: alla base affiorano le lave scoriacee di colore grigio a composizione trachitica, sovrapposte a strati di piroclastiti e cineriti di eruzioni successive. Su tale substrato cresce rigogliosa la tipica vegetazione costiera del Mediterraneo: il rosmarino, il cisto, la barba di Giove, l’elicriso, le agavi, i fichi d’India e la timelea. L’orizzonte libero consente allo sguardo di giungere fino alla visione completa di Forio, compreso il Promontorio di Punta Caruso ed oltre, verso Monte Vico, nel comune di Lacco Ameno, dove sorgeva l’acropoli del primo insediamento greco sull’isola, che è anche il primo in Occidente.
Oltre questo momento di “sublime sbandamento” spaziale e temporale, il percorso continua, ritornando all’incrocio precedente. Si svolta a destra una prima volta e, poco dopo, ancora a destra, costeggiando lo Scarrupo di Panza, il cui centro di eruzione è localizzato alla punta Nave e formato da piroclastiti costituite da banchi di scorie trachitiche saldate, sovrapposti a banchi di brecce piroclastiche di caduta. Si sale quindi in direzione della zona cosiddetta del Pomicione, deposito di lave da caduta trachitiche di colore chiaro, ricoperte poi dalle piroclastiti di Punta Imperatore (perfettamente visibili lungo il tragitto).
Il percorso conduce ora, dolcemente, al bivio che porta al centro di Panza.
Deviando a destra in direzione Sorgeto e seguendo la strada carrabile, si giunge ad una piccola diramazione: verso destra, si percorrono pochi metri lungo una teoria di case immerse nel verde e ci si imbatte nel bivio da cui partono due sentieri. Il primo, con un discreto dislivello (circa 100 m), si inoltra in una conca coltivata a frutteto e prosegue fino alla baia della Pelara. La discesa è introdotta da una ripida gradinata con scalini in legno intagliati nel tufo che conducono ad una parete stratificata di pomici, ceneri e lapilli. Da qui, il sentiero si snoda attraverso un rigoglioso boschetto di querce e lecci, ma ritroviamo anche specie tipiche della macchia mediterranea: l’erica, il corbezzolo ed il lentisco. Nel bosco, inoltre, si nasconde la “grotta dell'eremita”, scavata nella roccia tufacea. Oltrepassata quest'ultima, ci si imbatte in una magnifica radura di felci, dove in primavera è facile raccogliere gli asparagi selvatici. Oltre la radura, una scala rustica, realizzata dai volontari della Pro Loco ci Panza, consente di superare il dislivello in modo agevole, per arrivare alla costa e al mare. La discesa è meravigliosa, poiché dà modo di osservare le multicolori pareti rocciose, che vanno dal grigio al nero al rosso (rocce trachitiche nerastre si alternano piroclastiti rossastri). I differenti colori testimoniano la presenza di diversi minerali lavici. Si tratta, infatti, di un pregevole geosito, che ha il suo culmine in una imponente roccia lavica grigia che, alta circa 80 metri, troneggia sul mare, creando dei giochi di luci e colori di una certa rarità.
Per giungere al secondo sentiero, si ritorna indietro e ci si dirige verso il Monte di Panza, tra vigneti e zone a gariga, il cui colore predominante è il giallo delle ginestre, in fiore da giugno in avanti. Oltre alla tipica vegetazione costiera è di particolare interesse naturalistico la presenza dell’orchidea serapide. Attraversando un ampio e pianeggiante costone, lo sguardo è del tutto libero di spaziare verso il mare aperto, con la vista, in giornate limpide, di Punta della Campanella e Capri verso Est e di Ventotene verso Ovest. Un belvedere che invita alla meditazione finalizzata al riequilibrio psico – fisco, corredato di qualche panchina, chiude la parte più alta e pianeggiante del monte: da questo punto si può ammirare, dell'isola, la zona che va da Santa Maria al Monte , passando per Bocca di Serra, fino a Serrara, Monte Vezzi, Monte Cotto, la baia dei Maronti, Sant'Angelo e, per finire, Sorgeto.
La visita di questa zona sarà completa solo con la discesa alla baia di Sorgeto. La strada carrabile per scendere nella baia, si imbocca a partire dallo stesso bivio che conduceva ai due sentieri qui sopra descritti. Quindi, tornati lì, si svolta a destra e si procede comodamente fino ad uno spiazzo antistante il Ristorante “Da Gisella”. Da questo punto, si dipartono i circa 300 scalini che conducono alle pozze calde di acqua termale che caratterizzano e danno il nome alla baia. Nel corso del ‘500, il medico calabrese G. Jasolino, che per primo esaminò tutte le acque termo-minerali che affiorano sull’isola per studiarne gli svariati effetti curativi, giudicò la corrente calda di Sorgeto “giovevole alle gotte, alla frigidità e alla sterilità”. Incassata tra due promontori, ciottolosa, non troppo estesa, la conca è ricca di acque calde fino a 90°, che si mescolano al freddo mare, creando, anche in pieno inverno, la possibilità di immergervisi con piacere e beneficio.
A questo punto, dopo aver saziato il corpo e lo spirito, si ritorna indietro fino al punto di partenza, ricordando le voce narrante delle pietre incontrate lungo il percorso. Certo, perchè le pietre, a saperle ascoltare e guardare, sia allo stato naturale, sia artefatte, conservano e parlano delle storie dei luoghi e di chi li ha vissuti. Ed è per non perdere queste storie che è necessario dare maggiore attenzione e amore a questi luoghi che ci regalano gratuitamente così tante e magnifiche emozioni, ma che in certi punti risultano davvero abbandonati. La tutela e la valorizzazione è un compito sociale che dobbiamo a questa terra e, quindi, è necessario un coinvolgimento più convito di tutti, a partire da chi amministra il territorio.
di Francesco Mattera
Monte di Panza Gallery Gallery Punta Imperatore Pelara foto gallery