DI ISABELLA MARINO
Potente, gagliardo, fulmineo. Alto quaranta metri. Trasparente contro il cielo azzurro di una giornata tersa d’autunno. Applausi scroscianti accolsero lo zampillo di acqua pura, in quella domenica 9 novembre 1958, mentre s’innalzava sul piazzale gremito di popolo ai piedi del Castello Aragonese. E il mare tutt’intorno era pieno di imbarcazioni pavesate a festa, che salutarono con le loro sirene quella novità che già si poteva definire storica. Dopo anni di attesa, l’acquedotto sottomarino era terminato e portava in dote a Ischia l’acqua che avrebbe messo fine alla sua sete. Se ne giovava già Procida da un paio d’anni e ora era la volta dell’isola più lontana dalla terraferma, punto di arrivo di un progetto che aveva cominciato a prendere forma all’inizio di quel decennio di grandi opere e di profondi cambiamenti.