Strettissimo il pianoro sotto il sole, nel plenilunio si dilata, rivela su un lato profili di balze e pendii, vigne basse, canneti, spalanca un orizzonte di precipizi intuibili, lontani. Sull’altro scricchiola di pomici volatili, farine vulcaniche e morte ossidiane il sentiero, profuma di ginestre lidie e di un’Eubea perduta e ritrovata. Scendiamo per l’erta, c’è brezza di terra che s’impalla fra i costoni, si fa bava, scivola; e s’immagina la luce meridiana, la rarefatta schiera di umane formiche salire con lenta costanza, inerpicarsi attese da contadini di mare e pescatori di scogliera in un villaggio d’orti contro al cielo, portare merci di preziosa inutilità, prendersi vino e tempo nel 650 A.C.