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«CARGO» IDEALE ESTETICO
C’è un altro aspetto calamitante nell’opera di
Manuel, e riguarda la continuazione della «fase
uno» (da me numerata così rispetto a quella che
considero una svolta avvenuta qualche tempo fa
nelle fonti d’ispirazione), ovvero il canone estetico
inaugurato con il progetto «Cargo», caratterizzato
dalle navi e i porti, le macchine e le attrezzature,
immagini catturate tra Napoli, Genova, Rotterdam
e appunto Amburgo – stavolta declinate con
acrilici su tela di grandi dimensioni – con deviazioni
itineranti. Affondano le radici, anzi le àncore, nelle
avanguardie dell’800 e nelle lezioni dei Russi e degli
Americani d’inizio ‘900. Ne ho già parlato in articoli
precedenti. Si tratta di esempi che felicemente
e scientemente trasbordano a tratti nella Pop
Art, intesa come leva propulsiva, e la superano.
E segnano l’ennesima tappa di un cammino
cominciato a Napoli al liceo artistico dei SS. Apostoli
e proseguito all’Accademia di Belle Arti.
Le gru, le gomene, le bitte, i rimorchiatori, le
motovedette e le immense portacontainer che
solcano gli oceani e trasformano lo spazio delle
darsene quando approdano, mi appaiono come
una finestra sul mondo dell’operosità umana che
c’è ma non si vede. A 43 anni, l’età di Manuel Di
Chiara, questo pianeta è tutto da scoprire. In che
modo? Forse indosserà davvero il fardello dello
scafandro, come nel riuscitissimo e stupefacente
palombaro, colto nel momento del riposo come
un alieno postbellico: è un professionista… lunare
che conserva un ruolo fondamentale, si immola tra
eliche e bassi fondali in specchi d’acqua oleosi e
opachi.
Da qui, mentre l’attimo e il movimento si fondono
nella ricerca di una visione, ricordandomi che la
cifra di Manuel resta coerente, mi persuado che
possa preannunciarsi un ulteriore sconfinamento
artistico. Vedremo presto le «sue» figure incontrate
nell’Antropocene? Chissà.
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