Museo Archeologico di Pithecusae
Villa Arbusto di Lacco Ameno nell'Isola d'Ischia


Pitecusa

Note storiche (1)

L'isola di Pitecusa, in cui gli antichi vedevano l'isola ora delle Scimmie ora delle Giare - oggi Ischia, al largo del capo Miseno - è un tipico esempio di isola costiera che permetteva ai navigatori stranieri di entrare in contatto con le popolazioni "barbare" delle terre sconosciute. Abbastanza vicina alla terraferma da permettere di accedervi facilmente, al tempo stesso ne è abbastanza distante da richiedere una flotta per essere attaccata. Abbastanza piccola perché un pugno di coloni la possa invadere e tenere senza troppa fatica, è anche abbastanza vasta da offrire risorse non trascurabili. Sulle pendici dei suoi monti sorgono castagneti; nelle zone basse il terreno è composto da un tufo vulcanico assai fertile, adatto alla coltivazione della vite e, qua e là, anche dei cereali. Si capisce così come i primi Greci stabilitisi a Pitecusa abbiano potuto arricchirsi rapidamente con l'agricoltura, come racconta Strabone (V, 5-9) (2). Dallo stesso passo dello scrittore greco si ricava anche - e il fatto è confermato dagli scavi - che l'industria ceramica vi prosperò fin dall'inizio.

I primi coloni di Pitecusa

La tradizione letteraria è concorde nell'affermare che i primi coloni di Pitecusa vennero dall'Eubea. E' un'affermazione inequivocabile che trova conferma nelle leggende di Tifeo e dei Giganti localizzate a Pitecusa e nei Campi Flegrei, leggende la cui origine - come ben videro Diodoro (IV,21) e Strabone (V284=4) - va cercata nei fenomeni vulcanici a cui i Greci, secondo la loro abitudine, dettero veste mitica.

Eretriesi e Calcidesi

Nella fondazione della base di Pitecusa un posto di primo piano spetta, a quanto pare, agli Eretriesi: Strabone (V, 5-9) (2) li nomina per primi, anteponendoli agli stessi Calcidesi.  Nel secolo VIII Eretria era uno dei più importanti centri commerciali della Grecia: possedeva una flotta potente, come Calcide, con cui visse a lungo in rapporti di buon vicinato. Al fianco di Calcide partecipò al grande movimento colonizzatore; e, se veramente una colonia eretria precedette a Corcira la colonia corinzia, questo fatto confermerebbe come anche Eretria volgesse le proprie mire verso l'Occidente, e non solo verso l'Egeo settentrionale.

La guerra lelantia

Più tardi il conflitto scoppiato fra gli Ippoboti di Eretria e di Calcide per il possesso della ricca pianura di Lelanto sfociò in una guerra fra le due città che si protrasse per anni: la famosa guerra lelantia, da cui, nel secolo VII, Eretria uscì rovinata e Calcide impoverita, e che divise per un lungo periodo la Grecia tutta in due blocchi rivali, giacché Mileto e Megara si schierarono dalla parte della prima, Samo e Corinto dalla parte della seconda. Se è vero che gli Eretriesi - come ci informa Strabone - contribuirono in misura importante alla colonizzazione di Pitecusa, e solo in un secondo momento dovettero ritirarsi, a causa dello scoppio di dissensi, se ne potrà dedurre che la fondazione di Pitecusa fu anteriore alla guerra lelantia, e che la secessione degli Eretriesi coincise appunto con l'inizio di quella guerra. Il geografo non precisa quanti anni intercorsero fra i due avvenimenti, ma dal testo pare che questo lasso di tempo non sia stato molto lungo, come non deve essere stato lungo il tempo trascorso tra la cacciata di una parte dei fondatori e l'eruzione vulcanica che costrinse anche gli altri a fuggire. Per questo sembra che questa eruzione vada identificata con quella che seppellì la stazione di Castiglione verso la fine del secolo VIII e non con quella che obbligò la guarnigione inviata a Pitecusa da Ierone, dopo la sua vittoria del 474, ad abbandonare l'isola di lì a poco. La cacciata di una parte dei fondatori si situerebbe dunque press'a poco tra il 750 e il 725. La seconda eruzione, di poco posteriore al 474, si situa nel periodo in cui Napoli, alla cui fondazione aveva partecipato anche Pitecusa, occupa a sua volta l'isola annettendola.

Cuma

Tito Livio (VII, 22.5-6) (3) racconta che ì coloni greci di Pitecusa, quando osarono finalmente porre piede sul continente, si stabilirono sull'altura di Cuma. Questa acropoli naturale, che si levava in riva al mare e dominava la pianura campana, era il punto ideale per stranieri desiderosi di insediarsi nella regione. Con le sue pareti scoscese da tre lati, accessibile solamente da sud-sud-est, era una rocca quasi inespugnabile, facilmente difendibile anche senza fortificazioni. Tanto più che nell'antichità il mare, dal lato ovest, era assai più vicino, e a nord si stendeva una zona paludosa. Sulla collina (il punto dove sorse il nucleo più antico della città) si trovano ancora alcune rovine, per lo più di epoca romana; qua e là, vestigia delle mura greche. Scavi recenti hanno rivelato la presenza di gallerie sotterranee, scavate (come anche altrove nei Campi Flegrei), o comunque costruite, nel tufo dalla mano dell'uomo: una di queste gallerie, che risale all'età augustea, conduceva direttamente al lago Averno; un'altra, che pare molto più antica, era l'antro della famosa Sibilla. Nella pianura ai piedi della rupe, sul lato nord, è stata scoperta una vasta necropoli greca, che esistette dall'età arcaica fino all'età romana e che a sua volta - sia nel tempo sia nello spazio - era soltanto lo sviluppo di una necropoli indigena ancor più antica.


Localizzazione di Pitecusa - Monte di Vico

Quale fu il punto dell'isola che i coloni greci scelsero per fondare la città di Pitecusa, quella città che il Pseudo-Scilace dichiarava ancora esistente nel secolo IV a. C.? Già all'inizio del secolo scorso, la scoperta di un'iscrizione greca e di cocci aveva indotto a localizzare la città di Pitecusa sul promontorio di Monte di Vico, che è in realtà una buona posizione per una città antica. Un minuzioso esame della superficie del terreno e poi una serie di scavi iniziati nel 1952 hanno permesso a G. Buchner di fugare gli ultimi dubbi e di rintracciare l'antica città greca. Numerosi cocci che lo studioso tedesco ha raccolti in vari punti del promontorio attestano che il luogo fu abitato dall'età del bronzo in poi, fino all'età romana.


La stazione indigena - Castiglione

I più antichi di questi frammenti rivelano infatti che nella zona esisteva, prima dell'arrivo dei coloni greci, una stazione indigena. Più importante di questa era però la stazione indigena le cui vestigia sono state riportate alla luce a Castiglione, tra Porto d'Ischia e Casamicciola: tre frammenti di vasellame miceneo scoperti a Castiglione attestano remoti contatti col mondo egeo, dal secolo XIV in poi, mentre il fatto che fra il vasellame locale siano stati rinvenuti alcuni cocci di vasi geometrici dimostra che la stazione indigena, qui, sopravvisse all'arrivo dei colonizzatori greci di Pitecusa.

Vestigia dell'occupazione greca

Le più antiche vestigia di un'occupazione greca a Monte di Vico, sono per ora cocci o vasi della fine del periodo geometrico, ritrovati tanto sul sito della città quanto nella necropoli. Questa ceramica è un po' più antica di quella delle prime colonie greche in Sicilia, ed è anteriore anche a quella della necropoli greca di Cuma, come anche, sebbene di pochissimo, alla prima ceramica greca nell'Etruria. Il vasellame greco più antico ritrovato a Monte di Vico è da datarsi alla prima metà del secolo VIII.


Sopravvivenza della città di Monte di Vico

A Castiglione, inoltre, il Buchner ha trovato uno spesso strato di lapilli che seppellì la stazione indigena in un'età che egli pone verso la fine del secolo VIII. La città vera e propria, invece, a Monte di Vico, non scomparve, o almeno fu abbandonata solo temporaneamente: tre blocchi di tufo di un tempio greco, rimasti sul posto, e frammenti di terrecotte architettoniche, oltre ad altre vestigia, attestano che essa esisteva ancora nell'epoca classica.

  1. Questa pagina è stata redatta utilizzando l'articolo Pitecusa, comparso su "La Rassegna d'Ischia" 5/97, a cura di Anna Pilato, tratto da J.Berard, La colonization greque de l'Italie méridionale et de la Sicile dans l'antiquité, Presses Universitaire de France, Paris, 1957
    Torna ad inizio pagina

  1. Strabone, V, 5-9
    Pithekoussai fu un tempo abitata da Eretriesi e anche da Calcidesi i quali, pur avendo ivi prosperato grazie alla feracità del suolo e alla lavorazione dell'oro, abbandonarono l'isola in seguito ad una disputa; più tardi essi furono spinti fuori dell'isola da terremoti ed eruzioni di fuoco, mare e acque bollenti ... E anche Timeo dice che gli antichi raccontano molte cose meravigliose a proposito di Pithekoussai, e che solo poco prima del suo tempo, l'altura chiamata Epopeus (l'attuale Monte Epomeo), al centro dell'isola, scossa da terremoti, emise fuoco e respinse la parte tra sé e il mare nel mare aperto; e la parte di terra che era stata ridotta in cenere, dopo essere stata sollevata alta nel cielo, piombò giù di nuovo sull'isola come un turbine; e il mare si ritrasse per tre stadi, ma non molto dopo essersi ritirato, tornò indietro e con la corrente di ritorno allagò l'isola; e di conseguenza il fuoco sull'isola fu estinto, ma il frastuono fu tale che la gente sulla terraferma fuggì dalle coste entro la Campania. Le sorgenti dell'isola hanno fama di curare chi soffre di calcoli.
    Torna ad inizio pagina

  2. Livio, VIII, 22.5-6
    La città di Palaepolis era non lontana dall'attuale sito di Neapolis. Entrambi i luoghi erano abitati dalla stessa gente, che era venuta originariamente da Cuma, mentre i Cumani fanno risalire la loro origine da Calcide in Eubea. Grazie alla flotta che li aveva portati dalla loro città natia, essi esercitarono notevole influenza lungo la costa del mare sulla quale vivevano, essendo prima sbarcati sulle isole di Aenaria e Pithekoussai, ed essendosi poi avventurati a trasferire la loro base sulla terraferma.
    Torna ad inizio pagina