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‘A CHIANCA

      Fa freddo, circa otto gradi qui, che in altre località del nord Europa rappresenterebbe una
      temperatura primaverile. A otto gradi, quando il respiro si fa vedere a mo’ di nebbiolina
      davanti alla bocca, significa che è arrivato il freddo. Affretto il passo allora e supero quel
      gruppo di case cui i panni stesi sul balcone disegnano la vera tradizione dei luoghi del Sud,
      negandomi alla luce del sole. Mi ritrovo poco dopo la chiesa che, sebbene curi le faccende
      dello spirito, in questo caso si fa teatro di un luogo fatato: ‘a chianca.
      Lo sappiamo tutti che questa parola indica la macelleria e che in lei si nasconde il latino di
      planca (tavolo), ossia quella superficie dove prima si poggiavano le carni che, giustamente,
      l’acquirente poteva osservare prima di comprare.
      Pasquale sa che a dicembre, quando vado il sabato mattina, voglio solo una cosa: “quatte
      cape ‘e sausicce”. I “friarielli” son stati cotti già prima di uscire, tirati al vino bianco, amari
      quanto basta, con un dolce retrogusto di nostalgia. Attendono di incontrare ‘e sausicce
      tagliate a punta di coltello. Pasquale allunga la mano nella vetrina, dove gli stessi sono
      avvolti  come  una  ghirlanda  intrisa  di  vizi  e  pregiudizi per  i vegetariani.  Li tira  fuori,
      allungando la mano oltre la sua testa come una lenza calata a fondo che disegna una
      tensione di cattura e, con un taglio netto, ne separa sei. Lo guardo per rimproveralo,
      ma mi anticipa e dice: «Domani è domenica! Secondo te nu’ poche ‘e sarzurella, ddoje
      tracchiulelle e quatt’ purpette, nun sa’ chiammene na cape ‘e sausicce vicine?».
      Che gli posso dire. Ha ragione!




      ‘O PISCIAVINNULE

      La tappa è obbligatoria, da Adolfo, oggi che non ho trovato i pescatori al molo. Vado da
      lui a vedere cosa il mare mi consiglia. Questo momento è sacro, quello più importante
      della mia spesa perché mi regala l’inatteso. Solo un pazzo, infatti, andrebbe da un
      pescivendolo, sapendo cosa vuole. Il mare non è uno scaffale, non è Amazon, anzi è
      un calderone di misteri incredibili, di infinite emozioni legate alle stagioni.

      Dicembre, porta con sé mille magie. Adolfo è sempre fuori alla sua bottega, con gli
      stivali e una giacca antivento verde, anzi sempreverde, pronto come sembra all’ultima
      apocalisse. Piegato, ricurvo, proteso verso i banchi sui quali sistema il pescato con
      cura.
      La bottega si trova proprio al centro del borgo ed è aperta fino all’una, non oltre.
      Tra gli archi maldestri delle case e i panni stesi del borgo, tra quelle tinte pastello che
      come fari in tempesta accendono le coste per i naviganti, entro e dico buongiorno.
      Nessuna risposta.
      Guardo il banco e incontro la visione celestiale che mi riporta indietro di tanti inverni.
      Sono loro, le canocchie, dette qui le cicarelle. Le amo! Tra tutti i crostacei sono per
      me quelli che hanno il sapore più tipico dell’inverno, speciale, senza eguali. Non ho
      bisogno di pensarci due volte. Loro si muovono freneticamene nella cassetta e io,
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