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BUONO COME IL PANE

      Chi fa la spesa sa bene che la prima
      cosa  che  non  va  dimenticata  è il
      pane. Un panello di un chilo lo faccio
      mettere da parte, ogni giorno. Il
      fornaio, lo vedo spesso all’una di
      notte  che  prepara,  che  inforna.  Il
      profumo del pane è come un flauto
      dal suono ammaliante, mi attira alla
      porta della bottega.  Giuseppe, il
      panettiere, l’altro giorno mi diceva
      che stava ricordando come le cose
      erano  cambiate  in questi  ultimi
      anni, che non era più necessario
      raccogliere la legna come prima, che
      in passato le ore del giorno e della
      notte non gli bastavano. Giuseppe –
      detto Peppeniello – esclama spesso:
      «Il pane si fa la notte e la mattina è
      già finito!».
      Oggi,  invece,  con  l’ausilio  dei  forni
      elettrici e delle impastatrici, la cosa
      è più spedita, ma il mestiere resta
      sempre relegato alla notte. Il pane è
      sinonimo di bontà, di generosità e di
      scambio.
      La bottega è sempre la stessa: gli
      scaffali sono vecchi, scuri, come un
      pezzo di pane ben cotto; la farina
      corre nell’aria per arrivare ai polmoni.
      Prima di incartarmi il pane, Giuseppe
      è solito dargli sempre una bella
      pacca, così la farina vola nell’aria e il
      suo profumo si propaga tra la gente
      che attende; la carta è marrone,
      grezza e sa di casa, di chi lo abbraccia
      e lo porta sotto il braccio per posarlo
      sulla tavola dell’amore.
                                          DECLINAZIONI. Il “gioco” continua, dal pane agli altri prodotti identitari


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