L'isola che vorrei...
L’esperienza che mi sono concessa con la passeggiata a Piana Liguori è stata sorprendente. Ero già carica di bucoliche aspettative… ma la realtà è andata ben oltre. Per raggiungere Piana Liguori, in compagnia di mia cugina Simona, abbiamo scelto la bicicletta suscitando lo stupore dei “paesani” che non potevano credere che fossimo ischitane all’avventura. Sicuramente la parte più divertente è stata chiedere le informazioni per raggiungere questa meraviglia.
Tutti sapevano dove fosse… ma nessuno ci era veramente stato! Tuttavia quella della bicicletta si è presto rivelata una scelta sbagliata; arrivate alla contrada del Vatoliere, nel comune di Barano, abbiamo seguito una stradina che costeggia la Chiesa S. Antuono e che ci ha portato, alla fine di una severa salita, all’incantevole Chiesa della Madonna di Montevergine allo Schiappone. Da li è iniziata la passeggiata, dapprima campagne e cantine, alberi carichi di albicocche e carciofi in fiore, le radici pendenti di querce e il salice bianco. Poi lo scenario è cambiato. Ci siamo trovate su di una rupe, “la Sgarrupata”, a contemplare il mare e la costa sud-orientale dell’isola: natura incontaminata e paesaggi selvaggi. La punta della Signora, Monte Cotto, la Guardiola e incantevoli farfalle che si lasciavano ammirare per un tempo infinito. Estasiate abbiamo ripreso il cammino lungo un sentiero sterrato dedicato ad Angelo Vannini, un valoroso soldato porta feriti, medaglia d’oro al valore militare, morto per la patria a Plava nel 1915. Seguendo la costa e salendo lungo scale rocciose ci siamo ritrovate nuovamente in una fertile campagna animate da caprette e galline… poi la vigna. E qui è doveroso encomiare chi non ha rinunciato ad amare la terra che anche in un luogo così remoto sa essere generosa e gratificante. Una terra che sa di antico, di passione, di grande esperienza e di duro lavoro. Penso di aver trovato in quei vigneti, la più chiara e sincera espressione del rapporto tra l’uomo e la natura. E mi emoziono perché ho ancora tanto da apprendere sulle origini della mia isola. Distogliendo lo sguardo dalle ampie foglie delle viti, siamo rimaste nuovamente incantate da Punta San Pancrazio: il custode della “Grotta Verde” e della “Spiaggia dell’Amore”. La vista dall’alto è semplicemente solenne. Pietra lavica incorniciata dalla più verde della vegetazione mediterranea. E anche li, il saggio ischitano si è presentato in punta di piedi, un vigneto perfetto e un antico oratorio… forse una chiesa, testimoniano il profondo rispetto che i nostri antenati hanno avuto per questo luogo. Quando ormai pensavamo di aver visto tutto quello che poteva sorpenderci ci siamo ritrovate nel cuore della antica e rurale civiltà ischitana. Un villaggio composto da poche case alcune delle quali ancora abitate. Davanti alla casa più importante del villaggio una vecchia cabina telefonica e cerco di immaginare quanto fosse stato importante, in quel villaggio, negli anni 60, quella cabina. Per chi ha la fortuna di visitarlo questo è il luogo dove il tempo si è fermato… ma per chi ha il coraggio e la tenacia per viverci questo è il luogo che il tempo non ha “sfruttato”. Ne sa qualcosa Ciro che con la sua famiglia custodisce le antiche tradizioni di questa terra e che dovrebbe diventare, per tutti noi ischitani, un esempio di vita autentica. Seguire i ritmi lenti e regolari della natura, come attendere che la fava si asciughi al sole su un solaio di lapillo per poi sgusciarla e conservarla per l’inverno, sarebbe di grande aiuto per risollevarci in questo momento di difficoltà. Noi ischitani possiamo offrire risorse che in altre località provano ad inventare, a costruire e non c’è bisogno di ricorrere ad esperti di strategie di sviluppo… basta chiederlo a Ciro e a quanti come lui ancora credono nella terra. In tutti questi gesti c’è la sapienza di generazioni che in nessun manuale di economia turistica è possibile apprendere.
Poco distante dal villaggio si presenta un altro esempio di genuina ospitalità, una cantina e il suo contadino Francesco che sotto una pergola di vite offre il suo buon vino e i prodotti della terra. La nostra passeggiata è terminata al tramonto a Campagnano e i panorami mozzafiato ci hanno accompagnato fin alla Chiesa dell’Annunziata. Il Castello Aragonese, gli scogli di Sant’Anna e la sua piccola chiesa li abbiamo ammirati in maniera superba dal palazzo Mazzella, meglio conosciuto come Palazzo Quartaruolo dove Valerio ci ha gentilmente accolte e dissetate!
C’è tanto da imparare in questo posto e da questa gente. Se avevo la presunzione di raccontare l’isola per farla conoscere ed amare a voi turisti mi sbagliavo. Una passeggiata come questa mi ha lasciata sconcertata. Noi ischitani dobbiamo riscoprire e interiorizzare le nostre antiche tradizioni, l’animo rurale dei nostri antenati quella cordiale ospitalità tipica dell’isolano e il rispetto per la terra che ci ospita.
Questa è l’isola di cui sono innamorata e che vorrei tornasse a vivere nelle esperienze di voi turisti che la visitate e nella quotidianità di noi ischitani che la abitiamo.
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