I bagni che piacevano alle matrone romane
DI GRAZIANO PETRUCCI
Il sole caldo e timido abbraccia la terra, mentre la attraversa un vento leggero proveniente dal mare che fa capolino tra le colline lussureggianti e le gole verticali e profonde. Distante, oltre gli olmi, la montagna che sorveglia Sant’Angelo e la baia dei Maronti.
Sembra possibile afferrarla con le mani dopo aver percorso con lo sguardo la vegetazione rigogliosa del polmone verde che ne riempie lo spazio. Sono a Nitrodi. È venerdì, uno qualsiasi di fine primavera. Il parco brulica di fiori e menta, e piante d’incenso. Si distribuiscono in un percorso aromatico creando gli odori più intensi. Mescolati tra loro, plasmano alchimie che non conosco. Gli uccelli conversano nel linguaggio della Natura e il mormorio dell’acqua canta suoni familiari. Ora vicini ora lontani, conficcano un uncino nel nastro della memoria e tirano dal fondo ricordi, come pescatori con le nasse cariche di pescato fresco.
ALONE MAGICO
I sorrisi delle ragazze all’ingresso esplodono nell’aria azzurra del pomeriggio come i profumi che annunciano l’estate. Frustate per i sensi, si fondono nella musica di Ennio Morricone. Avvolge la collinetta e mi accompagna nel labirinto tra i sentieri. I pochi fieri bagnanti, francesi, russi e italiani, armati di costume e asciugamano, celebrano le acque con piccoli gesti fendendo a piene mani le cascate. Quasi a soffocarne il flusso, invano, che trabocca nelle vasche dopo aver bagnato i loro corpi asciutti. Altri mostrano un sorriso sornione seduti al piccolo chalet posto all’ombra, mentre attendono una limonata fresca tinta di menta. Sembrano valorosi soldati in attesa di ristoro, spogliati dell’armatura dopo la campagna condotta alla conquista del riposo. La serietà del mio volto cela una distanza tra me e questo intreccio invisibile di storia. O forse non lascia trasparire, all’opposto, la totale discesa nelle visioni emozionanti e remote, tra fontane dai fluidi zampillanti e l’aria umida e focosa che produce un alone magico. Il destino dei Bagni di Nitrodi, o come recava un’antica scritta, usata fino alla metà del XX secolo, Nitroli, è segnato dal corso delle sue acque minerali e ipotermali. Affiorano tiepide, dall’utero della terra. Come a Delfi nel tempio dedicato ad Apollo. Plinio il Vecchio racconta dell’uso che ne facevano uomini e donne per il corpo e degli effetti sananti sin dai tempi dei Romani. La virtù terapeutica del fluido forse era già patrimonio dei Greci.
I BASSORILIEVI DEL RICORDO
Dei dodici bassorilievi con dedica ad Apollo e alle Ninfe, rinvenuti dagli scavi che si sono succeduti negli anni, esistono alcune copie. Reggono nel presente la parete del ricordo e disegnano le tappe di un racconto arcaico e incantevole. Le immagini ritraggono ex-voto per aver ottenuto guarigioni e si dispongono in fila pronte per esser passate in rassegna. Se l’acqua è incisa dal fuoco della vita di che risanamenti si tratta? Mi colpisce il marmo donato nel 64 d.C. da Argenna, liberta di Poppea moglie di Nerone. Gli occhi sono attratti dalla tavola che raffigura le tre Ninfe. Le gocce d’acqua si avvicendano lente dalle bocche che sprofondano nel sottosuolo e fermano il tempo. Qualcosa mi strattona. Mi conduce nel retroscena. Eccole le Ninfe messaggere del culto apollineo nella loro mistica attraente. Le osservo rapito tuffarsi nelle vasche. Che cosa facevano esattamente? Una gran fortuna per i Romani fermarsi ad abbeverare il corpo, immersi nell’atmosfera magica e nel piacere, nascosti dalla vegetazione profonda, distanti dalla presenza indiscreta dell’uomo. Eccole, le matrone. Arrivate da Roma e dalla vicina Pompei per raggiungere la fonte sacra dedicata al Dio. Sono venute a raccogliere il liquido risanante mentre ne circonda i corpi, balsamo per la pelle. E se fossero loro le Ninfe di cui si parla, straripanti d’Eros, incarnazione delle Divinità della Natura venerate dai Greci antichi? Si univano con i mortali per ristorarli dalle pene tendendo così al raggiungimento della salute fisica attraverso l’esperienza del divino nei piccoli santuari chiamati “Ninfei”.
L’ESTASI E L’ARMONIA
Rapite dall’estasi, i movimenti sinuosi scrivono e comunicano l’immagine femminea della terra nel vivace diluvio di umori. Sotto al muricciolo su cui poggiano le bocche arcaiche, aspettano di riempirsi le mani di formidabili eserciti e torrenti di bellezza. È qui, forse, nell’aspetto delle testimonianze rimaste intatte nel corso dei secoli - sollevando il velo della cecità moderna - che torniamo a osservare le donne procaci di Poppea Augusta, mentre segnavano il senso scenografico dell’armonia. Intente a ottenere l’impaziente scalpitare di Eros dagli uomini, nel desiderio afrodisiaco di manifestarsi con il fuoco della creazione visibile nell’unione dei corpi. In un ordine composito in cui l’equilibrio dei boschi, delle colline, delle rocce vulcaniche, della prospettiva di alberi dal fogliame fitto, dei sentieri calpestati dall’estasi solitaria per raggiungere Nitrodi, si accoppiava con l’universo e la musica dell’acqua, presente e viva, dilagante e prorompente. Al cospetto di Apollo, che suona la lira regalatagli da Ermes, simbolo di canto e poesia e della civiltà nascente. Questo luogo, è rimasto un rifugio. Un ultimo paesaggio lento, incastrato lontano dal ritmo decadente della civiltà odierna. E come allora l’acqua scorre, femmina e accogliente. Dalla maternità della terra fino all’aria, focosa. Per occuparsi dei corpi di maschi e femmine e tornare nella Grande Madre carica di semenza e memoria.