Natura e Avventura - Alla scoperta dell’isola dai mille paesaggi

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Comincia il fantastico tour di “Andar per sentieri 2016”

Sento nell’aria una rinnovata energia, suoni, colori, odori mi ridestano dal tepore invernale e mi annunciano l’arrivo della primavera. È troppo forte il richiamo, non resisto, e certamente non perdo l’occasione di vivere la primavera ad Ischia nel migliore dei modi, ovvero “Andando per Sentieri”. Prima di mettermi in marcia controllo scrupolosamente la mia attrezzatura. Eh si! perché il buon esito di una escursione che si rispetti, parte proprio dalla cura di questi dettagli.

Comincio con le scarpe, comode, impermeabili, ma traspiranti (il goretex è un ottimo materiale in tal senso) e con una suola adatta a terreni sconnessi, per poi passare all’abbigliamento (che come si dice in genere deve essere a “cipolla”) avendo cura di scegliere i capi tecnici traspiranti per gli strati più interni ed isolanti (se dovessero servire) per quelli più esterni. Il ricambio nello zaino poi è d’obbligo. Occhiali da sole, cappello e crema solare, che metto nello zaino, insieme al necessario (carta, bussola, gps, acqua e frutta secca se dovesse venirmi un po’ fame). Ultimo, ma non per importanza un piccolo kit per il primo soccorso (non si sa mai!).

Bene, sono pronto e non vedo l’ora di godermi la mia isola, l’isola verde. Verrebbe da pensare subito alla ricchezza floristica prorompente che presenta, soprattutto sul versante nord orientale, eppure essa deve tale appellativo non alla vegetazione, ma alla particolare roccia, unica al mondo, che costituisce l’ossatura centrale dell’isola: il Tufo Verde. E non basterebbe solo questo per campare di turismo in eterno!

Guardandola dall’alto l’isola mostra la sua natura vulcanica. Infatti da un punto di vista geologico Ischia è un campo vulcanico, un complesso di zolle diverse sollevate ed inclinate, separate da fratture e faglie, che servirono spesso da via d’uscita al magma del bacino locale, dando così origine ad una serie di strutture vulcaniche. Tanti “buchi” sparsi sul territorio, tanti crateri, tante storie da raccontare. Ed io voglio partire proprio da uno di questi “buchi”, dal primo che si incontra venendo da Napoli.

Il porto d’Ischia, formatosi in epoca romana, divenuto poi lago vulcanico e trasformato in porto in epoca borbonica. Il mio sguardo va subito verso l’alto e, attraverso Via Quercia, giungo ad uno dei complessi vulcanici meglio conservati dell’isola. Sono nell’inconfondibile verde del Bosco della Maddalena, a Casamicciola Terme, meravigliosa pineta che sorge su un duomo vulcanico e da lì arrivo fino al confine tra il Montagnone, ricoperto di macchia Mediterranea selvaggia ed al Monte Rotaro regno di una fitta pineta. Attraversando la cresta del cratere ed ammirandone il fondo, proseguo fino ad una serie di “fumarole” in attività. Queste sono di certo uno degli aspetti più affascinati di Ischia e, insieme alla manifestazione delle acque termali, sono la prova che Ischia è un’isola viva, ancora in attività (si parla in questo caso di vulcanismo di tipo secondario).

Ma le peculiarità non finiscono qui; infatti nei pressi di queste fumarole incontro una delle specie rare che popolano l’isola. È Cyperus polystachyus (papiro delle fumarole). Specie affine alle graminacee, è una pianta non comune che vive in zone tropicali e subtropicali e in Europa solo nell'Isola d'Ischia, ove si è adattata perché ha trovato un terreno riscaldato dal vapore acqueo delle fumarole, e un microclima, quindi, caldo umido adatto alle sue esigenze di crescita.
Proseguo e, costeggiando l’enorme Cratere di fondo Ferraro, arrivo in prossimità del maneggio di Cavalli di Fiaiano. Riposo un attimo ed alzo lo sguardo che si perde subito in un fitto castagneto. La mia vista è rapita dal colore chiaro dei fiori di castagno che, dal Monte Toppo a salire, sembrano pennellate dorate nel mare verde intenso tipico di questo versante isolano, ed indice di una grande ricchezza floristica. Imboccato il sentiero che risale verso il vallone di Buceto, dove è presente l’omonima fonte, il primo tratto è accompagnato dai resti del vecchio acquedotto che captava l’acqua e la portava fino al borgo di Gelsa (odierna Ischia Ponte). Data la forte esposizione di questo primo tratto, la vegetazione predominante è quella tipica della macchia mediterranea, in cui spiccano le fragranti essenze del mirto arricchite dagli aromi della mentuccia selvatica e del timo. Dopo poco, come per incanto, il paesaggio cambia: la particolare posizione e conformazione geomorfologica del vallone, nonché la ricchezza di acqua (la fonte di Buceto appunto), la presenza di alti pioppi ed ailanti epifitati da edere striscianti e filanti che somigliano a liane, ed in basso felci alte e bardate dalle foglie ampie almeno un metro, il cinguettio degli uccelli, rendono questo tratto simile ad una foresta tropicale. Ci si immerge in questo mondo, perdendo per un attimo la cognizione spazio–temporale.
Come in un film di avventura risalgo il vallone e mi immetto in un bosco di castagni alle falde del Monte Trippodi, fino ad arrivare a Piano San Paolo, vecchia spiaggia fossile, testimonianza del passato sommerso di una parte dell’isola. Infatti, per migliaia di anni (circa 60.000 anni fa) la parte centrale dell’isola, a seguito del collasso dovuto allo svuotamento della camera magmatica, conseguenza di un’attività esplosiva molto intensa, si è ritrovata in ambiente sub marino. È sicuramente questo uno degli eventi più significativi della genesi geologica di Ischia, in cui si è generata la roccia tipica dell’isola: il tufo verde, formato a seguito dell’alterazione chimico-fisica delle rocce piroclastiche pregiacenti, oggi visibile, come le altre strutture sommerse, a seguito della risorgenza della massa collassata.

Continuando la risalita giungo fino al punto più alto dell’horst (è così che è definito in termini tecnici il Monte Epomeo: horst vulcano-tettonico). In vetta (789 s.l.m.) si trova la chiesetta di S. Nicola (da cui il nome della vetta) con il suo eremo interamente scavato nel tufo verde, dove per anni ha soggiornato l’eremita Giuseppe D’Argout, ex comandante della guarnigione del Castello Aragonese nel 1700. L’eremo fu poi trasformato in una suggestiva pensione le cui camere erano le antiche e silenziose celle. Da circa un annetto esso è stato rimesso a posto e riaperto al pubblico. Un sentiero scavato nel tufo conduce verso la vetta, scolpita dal vento ed orlata da licheni gialli. Da qui si gode di una vista a 360 gradi (da cui l’origine del nome Epomeo: Epopon o Epopos io guardo, io miro attorno). Di fronte è riconoscibile il bosco della Falanga con Santa Maria al Monte, il monte Nuovo e Forio in basso. Le isole pontine, non più così lontane, formano una linea continua con la costa laziale. Spostando lo sguardo verso Nord il litorale flegreo con le isole di Procida e Vivara, il Vesuvio, e proseguendo i monti Lattari e l’isola di Capri. E poi la vista si perde in mare aperto e si ha davvero la sensazione di essere sospesi tra cielo e mare.

Mi ridesto e, carico di rinnovata energia, proseguo lungo il sentiero (il numero 501 del catasto CAI). Mi imbatto subito in una deviazione che procede attraverso un ripido pendio che si immerge in uno dei luoghi più “pazzeschi” dell’Isola. I bosco della Falanga; beh, qui nettamente la realtà incontra la fantasia. Il bosco della Falanga si dispone a terrazza a circa 600m sul livello del mare, proprio ai piedi del monte Epomeo. È evidentissima, infatti, la superficie di faglia (quella che ho disceso) che è una parete maestosa di tufo verde, scavata dal vento e screziata di licheni, coperta di lecci, corbezzoli ed eriche, ovunque la pendenza lo permetta. Mi inoltro nel bosco ed ho la sensazione di entrare in un’altra dimensione. Gli ambienti più umidi e freschi, consentono la diffusione delle latifoglie decidue in cui prevale il castagno e a cui si accompagnano elementi arborei autoctoni (diverse specie di querce).

La natura vulcanica e sismica dell’isola d’Ischia ha condizionato nei secoli le vicende delle popolazioni locali, costringendoli a continui adattamenti al territorio; questo ha fatto sì che si sviluppasse una straordinaria testimonianza di architettura rupestre, dovuta alla lunga opera di trasformazione dei massi di tufo verde franati dal Monte Epomeo. Questi ultimi, in parte sono naturalmente scolpiti dagli agenti atmosferici (ad esempio la cosiddetta pietra “perciata”, dalla caratteristica erosione a nido d’ape), ed in parte sono stati scavati dagli uomini che ne hanno ricavato palmenti, depositi e ricoveri temporanei. Le case di pietra sono così perfettamente integrate con la vegetazione e l’ambiente circostante, da mimetizzarsi con la natura e da divenire proprio per questo un' ottima difesa contro le incursioni piratesche. Esse formano qui un vero e proprio villaggio, che insieme ai resti di antiche parracine (ormai coperte dalla vegetazione) evidenziano le tracce di un passato in cui erano le viti a dominare il paesaggio e non i castagni. È incredibile come sia attuale e leggibile, attraverso questi segni, il passato.

Pur perdendomi in questo mondo, continuo il mio percorso, fino ad arrivare ad un altro bosco, quello dei Frassitelli, un terrazzo di acacie fittissime. Nel bosco le robinie (specie nordamericana introdotta) si alternano a diversi esemplari di euforbia e vari tipi di felce. Il sottobosco ed i bordi dei sentieri sono caratterizzati dalla presenza di valeriane, anemoni, viole, psoralee, ciclamini, ferule, ginestre, oltre che da una serie di piante aromatiche e medicinali quali, la nepeta, la santoreggia, il tarassaco, l’ortica, la camomilla, la parietaria, il timo, il finocchio e l’origano selvatico (d’estate ne faccio una bella scorta!). Ma questo è anche il regno del coniglio selvatico che ha rivestito e riveste un ruolo fondamentale nella tradizione culinaria locale.

Mentre cammino mi imbatto in un arco in pietra, dietro al quale si snoda una scalinata scolpita che porta… Chissà dove!... È troppo forte il richiamo per questa nuova avventura e devio, risalendo il sentiero e ritrovandomi di nuovo sulla cresta dell’isola, nei pressi di Pietra dell’Acqua (enorme masso di tufo verde scavato e nel quale è stata ricavata una cisterna per la raccolta dell’acqua appunto). Mi fermo a riprender fiato e a godere di una vista mozzafiato. A sinistra tutta la costa occidentale e a destra tutta quella nord orientale. Registro ogni singolo fotogramma per essere sicuro che le immagini si fissino bene nella mia memoria. Poi proseguo in direzione Fontana e più precisamente verso la frazione di Noia. Da questo piccolo villaggio scendo verso uno degli scenari che rendono l’isola verde unica nel Mediterraneo. Siamo nella parte meridionale dell’isola, proprio su una lingua di terra a cavallo tra due gole: a sinistra quella dell’Olmitello e a destra quella di Cava Scura. È da non credere; in un attimo abbandoniamo la “civiltà” per entrare in un luogo dove i segni dell’uomo lasciano il passo alla natura incontaminata; il tutto fa da cornice a delle vere e proprie sculture di roccia. Qui la natura si è davvero divertita, scolpendo nel corso del tempo attraverso l’azione congiunta di fattori endogeni (attività vulcanica) ed esogeni (acqua e vento) queste piramidi: i Pizzi bianchi. Basta avere solo un po’ di intraprendenza e coraggio e ci si potrà immergere in questo paesaggio frutto della sinergia tra natura ed arte. La discesa nella forra (una gola stretta tra pareti rocciose ripide) è davvero un’emozione unica e adatta ad escursionisti esperti e ben attrezzati (anche di caschetto) e ci conduce fino alla spiaggia dei Maronti, sul versante meridionale dell’Isola.

Incredibile, ho tagliato l’isola da parte a parte, camminando una mezza giornata, ma avendo la sensazione di aver camminato per giorni e giorni. Tutto ciò è sicuramente dovuto al fatto che ho visto così tanti ambienti diversi in così poco tempo. Ma la posizione geografica dell’isola, che determina situazioni climatiche peculiari, unita ad una conformazione geo-morfologica speciale, rappresentano un unicum ambientale nel Mediterraneo, un laboratorio naturale, dove vivere e comprendere appieno il significato del concetto di geo e biodiversità.

Tuttavia non sono ancora soddisfatto. Il mio obiettivo è di ritornare al porto d’Ischia e lo faccio regalandomi ancora un tratto davvero spettacolare. Risalendo la vecchia strada (via Giorgio Carafà) che dai Maronti arriva al Testaccio e giungo fino al Vatoliere. Proseguo verso la Chiesa della “Madonna Montevergine” per un sentiero irto ma affascinante verso uno dei più belli geositi (siti di interesse geologici) dell’isola: la “Scarrupata di Barano”, le cui pareti mostrano begli esempi di materiali vulcanici stratificati (tufo , pomici, lapilli, ceneri bianche, roccia trachitica). Da lì arrivo sul promontorio e, tra vigneti e Macchia Mediterranea, entro in un castagneto che sale fin su Monte Vezzi, un duomo vulcanico di 392 m. Da qui riesco a vedere contemporaneamente i due duomi lavici più famosi dell’isola: Sant’Angelo ed il Castello Aragonese.

La discesa dalla cima verso Piano Liguori mi offre un bel panorama su Punta San Pancrazio (156 m) con la caratteristica chiesetta a strapiombo sul mare. I vitigni ischitani qui godono di un microclima favorevole, anche rispetto ad altre zone isolane, per l’esposizione ad Est Sud-Est, per la presenza del particolare suolo, fertilizzato dalla cenere vulcanica e per l’abbondanza delle precipitazioni stagionali. Durante il tragitto incontro vecchie cantine scavate nella roccia tra i terrazzamenti della zona che guardano lo splendido scenario del mare aperto che incontra le altre isole del Golfo (Procida, Vivara e Capri) e la Costiera Amalfiana.

Tra vigneti e costeggiando la splendida Baia di Cartaromana in fondo alla quale sono ancora visibili i resti di “Aenaria” la vecchia Ischia Romana sommersa, proseguo per un agile sentiero a strapiombo su varie insenature nelle quali confluiscono terrazzamenti ripidissimi coltivati a vigneti. Che esempio di viticoltura eroica! Arrivo a Campagnano e ritorno al porto d’Ischia con rinnovata energia, con fisico, mente e spirito perfettamente riequilibrati. Ed è da questa esperienza, che ripeterò sicuramente, che nasce la consapevolezza di voler valorizzare e riscoprire l’isola, un’isola che nonostante tutto continua a sorprendere grazie al profondo ed intricato intreccio tra elementi naturali ed antropici. Ed in questo periodo è davvero bello (ri)scoprirla, basta avere voglia e lo spirito giusto, ma soprattutto vivere questi luoghi col rispetto che meritano. Augurandovi il meglio mi aspetto di incontrarvi “Per Sentieri”.

BUON CAMMINO A TUTTI.

Andar Per Sentieri 2016 Programma schede percorsi e prenotazione

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  • Sito web www.ischia.it
  • skypeCall center
  • whatsappg+39.3296885973

Info su Ischia

  • Superficie: 46 Kmq
  • Altezza: 789 mt
  • Lat.: 40° 44',82 N
  • Long.: 13° 56',58 E
  • Periplo: 18 miglia
  • Coste: 51.2 Km
  • Comuni: 6
  • Abitanti: 58.029

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