A Forio alla scoperta di Manuel di Chiara
Devo scomodare un po’ di amori forti. Pittorici, s’intende. Perché mi piace creare un tunnel concettuale, sotto la pelle del visibile, ma a mia immagine, per provare a spiegare – in breve – un artista. Per un personaggio qual è Manuel Di Chiara seguo questo canovaccio, con l’aiuto del nostro fotografo, Enzo Rando, che è andato a scovarlo per noi nell’atelier al civico numero 9 del vicoletto alle spalle della Chiesa di San Gaetano, a Forio.
E' stato un incontro ravvicinato e non casuale di tun “occhio” non convenzionale e, soprattutto, una infinita passione per i colpi cromatici (penso alle mitiche cartoline di Enzo Rando…). Le immagini del fotoracconto restituiscono uno spicchio delle loro affinità elettive che intravedo e che forse – paradossalmente – sfuggono a entrambi. Tant’è. Per introdurre il discorso su Manuel comincio da un minimo elenco di opere e autori, must che sono andato a pizzicare in giro per gallerie e musei d’Europa, e non solo. Ecco “Il battello bianco” di Georges Braque (è a Londra), che è coevo (1906) del “Rimorchiatore sulla Senna” di Maurice de Vlaminck (si trova a Washington). Sono glorie mistiche del Fauvismo che esploderà con la tavolozza incomparabile di Raoul Dufy (qui c’è il suo “Porto” del 1908, che ho fotografato a Berlino); sconfinando negli Usa con George Bellows, che conoscevo per i suoi quadri magistrali sul pugilato, e che mi ha folgorato alla National Gallery londinese con gli “Uomini dei Docks” di Manhattan (1912). Osservate la sequenza di capolavori di oltre un secolo fa, misuratene le distanze e le convergenze, pensate alle atmosfere, costruitevi una narrazione. Aggiungete l’eco suadente dell’Arte Cinetica, dell’Optical Art e ovviamente della Pop Art. Quindi, soffermatevi a osservare i lavori di Manuel, in particolare quelli della serie denominata “Cargo”: alle sue spalle intravedo quei grandi maestri, le lezioni digerite e le citazioni ormai superate, non desiderate, eppure necessarie alla comprensione di un percorso originale e contemporaneo. Una via dell’arte complessa e consapevole, quella di Manuel che, per vocazione, adora mantenere un basso profilo: è illustratore, grafico, fotografo, interior designer, artigiano, arredatore, pittore multimaterico, sperimentatore di materiali e attentissimo alla eco-compatibilità; scultore, progettista e molto altro. Ed è sempre alla ricerca di un contatto attivo con lo spettatore e/o il committente, di un attimo fuggente da cogliere proprio mentre la sua opera sembra quasi modificarsi per un dettaglio che non è mai innocuo, esattamente quando il soggetto della stessa sembra semplicemente figlio del Fotorealismo o dell’Iperrealismo. L'attimo fuggente, inoltre è dentro il leit - motiv tematico di Manuel: i “cargo”, le navi, le gru, i porti, gli avanporti e le barche; e poi le macchine, le vespe e gli adorati (da me) furgoni, e piccoli tre ruote; ancora ruote, moto e motori. Tutto un mondo in movimento, anche tellurico; lento o velocissino, quasi sempre privo di umani, e da fermare per un nanosecondo prima che riprenda a spostarsi. L’ultima volta che ho scritto di lui, un anno e mezzo fa, Manuel era stato selezionato tra trentotto colleghi di ogni parte del mondo per partecipare al concorso internazionale “Romadesignlab”, dedicato all’eco-design autoprodotto, con uno dei suoi pezzi più vibranti, la “Vespa a dondolo di cartone”. A proposito: il cartone è rigorosamente riciclato e diventa supporto pittorico o complemento di arredo, perforato e leggero, allegoria di una filosofia caratterizzante, concreta, priva di ghirigori e fronzoli. Sono ancora convinto, come scrivevo allora, che Manuel Di Chiara esprime una potenza iconografica che critica in modo davvero efficace la contemporaneità alla quale, anagraficamente, appartiene.I tempi odierni sono insopportabili per la massiva autoreferenzialità comunicativa, “verde” a chiacchiere, ma senza slancio collettivo verso la vera salvaguardia del pianeta, o la solidarietà per l’umanità dolente, che è la stessa cosa. Per contrasto Manuel “dichiara” il suo pensiero caldo con la tecnica dell’acrilico materico, con rifiniture a smalti e pastelli, o con l’abilità finissima con la quale utilizza l’olio su tela, in una effervescenza di colori che è pure un inno ai (miei) maestri sopra ricordati. È fantastico quando indugia nei dettagli, elaborando/traforando la realtà tangibile, per lasciare spazio alla libertà visionaria. E quando ci introduce alle atmosfere essenziali delle estese e solitarie zone commerciali delle aree portuali, tra container e lampioni, gru e catene, delineate dalla quinta teatrale delle grandi navi da carico che navigano sullo sfondo e, guarda un po’, anche nel mio sangue marinaro; o delle chiatte apparentemente immobili sui canali e i fiumi mitteleuropei, in un contesto di luoghi e scorci che non lasciano spazio alle figure umane, sempre evocate in virtù della loro assenza.