Summer School of Humanities e Festival di Filosofia - Di relazione, di mediazione
Si iniziavano a sentire le voci della natura a settembre. Quel luogo aveva vissuto nel mese precedente una forte invasione, quella che disturbava tutti gli abitanti del luogo, ma che – a detta degli stessi – era necessaria.
Cos’era necessario davvero, si chiedeva il piccolo Hans? Lui era venuto in questo posto per questioni legate al lavoro dei propri genitori e si era ritrovato in una situazione diversa: gente che parlava una lingua diversa, diverse strade, volti e abitudini.
Persino il sole era diverso. Era più forte, aggressivo e il mare più chiaro di quello oceanico. L’unico momento che non lo faceva sentire differente, era quando comprava quel chilo di pane in quelle piccole botteghe nascoste nei vicoletti del paese. Il padre gli dava sempre 2 euro e Hans si sentiva a suo agio, perché riconosceva la moneta, la stessa che usava in Germania.
«Quante differenze che esistono in questo mondo? A volte sono troppe e chissà perché proprio il denaro non cambia?». Questo domandava Hans al padre, il quale restava sempre sorpreso da quell’osservazione fatta da un ometto di appena 8 anni.
Jochen era un padre solo e aveva vissuto in Germania per 35 anni. Sua madre era italiana, Rossana, una donna forte che aveva lasciato la propria terra nel ‘67 per trovare la fortuna in quella straniera. Jochen aveva un nome tedesco ma non si sentiva sempre tedesco. Aveva lavorato e studiato tanto in Germania.
Si era laureato in economia aziendale e il lavoro di certo non gli mancava. Il motivo del suo espatrio era di carattere sentimentale, idealista. «Mio figlio – ripeteva ai suoi amici e alla sua ex moglie – crescerà in Italia!». Ne era convinto e un giorno lo fece.
Lasciò il suo paese natio e si recò nel recondito sud italiano, con tante aspettative umane e, in cuor suo, anche professionali. In Germania lavorava presso una grande Firma (come la chiamano i tedeschi), un’azienda leader nel campo del marketing. Aveva accumulato un po’ di denaro in tutti quegli anni di duro lavoro e si permise di accettarne uno presso una piccola ditta locale nella sua nuova madrepatria, operante nel campo pubblicitario.
Si, proprio nel sud Italia come tanto desiderava. Dopo circa tre mesi di lavoro fu licenziato.
Non riusciva a capire le dinamiche di lavoro locali, abituato a ritmi serrati, ma non così longevi, a progettazioni a lunga gittata che facilitavano la riuscita e il raggiungimento degli obiettivi. In quel piccolo centro non era lecito pensare di lavorare 6 ore e 40 minuti al giorno per poi avere il weekend libero per sé e suo figlio. Il capo gli ripeteva: «Qui si lavora per soli 4 mesi all’anno, a ritmi serrati. I restanti vanno interpretati come una lunga vacanza; farai richiesta di disoccupazione e potrai tirare avanti per tutto l’inverno! Cosa vuoi di più? Qui non siamo in Germania! E poi non capisco perché tu sia venuto nel sud di un paese lacerato, a noi fa piacere, ma funziona diversamente!».
Jochen non voleva spiegare le sue motivazioni personali, non credeva fosse necessario. Lui era il tedesco in Italia. In Germania invece era l’italiano.
Non riusciva a capire perfettamente questa cosa! Non sapeva se la sua posizione antropologica fosse un vantaggio o uno svantaggio. Conosceva bene entrambe le culture e le custodiva in modo istrionico. Sapeva persino adattarsi ai cambiamenti meglio del suo pc il quale, ogni volta che scriveva in italiano, gli segnava il testo in rosso. Eppure lo aveva acquistato in Italia. Fu proprio Hans, il piccolo genio, nativo digitale, che un giorno gli fece notare il fatto che aveva formattato il pc italiano da quello tedesco. La migrazione dei dati! Incredibile, anche quella era una migrazione problematica e il pc forse non accettava la diversità nel suo “bios”.
Jochen Caiolo perse quindi il lavoro dopo pochi mesi e, per necessità, iniziò a lavorare nel settore turistico, 6 mesi all’anno, con prospettive di miglioramento economico. Guadagnava 1000 euro netti e lavorava 10 ore al giorno, da marzo a fine settembre. Era assistente per turisti tedeschi in tutti gli alberghi di quell’isola. Era molto benvoluto, ma si sentiva sempre dire dai suoi “mezzi” connazionali: «Perché vive qui? Immagino che la paga non sia così gratificante? Inoltre le cose non funzionano così bene?».
Jochen non rispondeva mai e cambiava discorso, parlando della bellezza di quel luogo che non lo aveva rifiutato mai. Questa era una tecnica che aveva appreso da un suo collega autoctono, sud-tocnono, come diceva lui per scherzo. «Ogni volta che si parla di qualcosa di personale cambiamo discorso e parliamo delle bellezze dell’isola – diceva Mario – lo fa sempre anche mia madre. Anzi a volte, se siamo in inverno, lei parla del freddo e si lamenta; d’estate parla del caldo, cambiando discorso velocemente.
Quando poi ci ritroviamo in un luogo che dal punto di vista naturalistico non offre tanto da ammirare, o siamo in primavera a una temperatura perfetta, dice di avere dei dolori lancinanti, interrompendo il discorso con la stessa maestria. Una tecnica sopraffina!».
Jochen la utilizzava con i turisti e funzionava davvero. Quella tecnica era divenuta la sua valuta, con quella scambiava il silenzio nascondendo i propri sentimenti, attraverso i luoghi comuni.
Quando divenne anziano e Hans aveva ormai 37 anni, Jochen non era più stanco. Era felice di come era venuto su suo figlio. Era una persona rispettata Hans, e sapeva mediare al meglio la sua presunta diversità, quello che forse Jochen aveva fatto solo nel silenzio.
Una sera d’inverno verso le 19, dopo che Hans era ritornato da un viaggio di lavoro, Jochen gli chiese di andar a comprare del pane.
Hans disse: «Sai papà sono contento che tu abbia deciso di vivere in questo luogo. Sono convinto che l’essere umano possa avere sempre la libertà di scegliere, anche nelle situazioni più difficili. Questo è quello che mi hai sempre fatto capire attraverso il tuo modo di fare! Tu sei stato sempre quel punto d’incontro tra due diversità, due nazioni che rivendicano il proprio attraverso il corpo, il possesso di quel corpo. Conservo con orgoglio quest’insegnamento.
Noi esseri umani condividiamo lo stesso cielo, la stessa terra e lo stesso mare, ma non ci arrendiamo mai alla diversità, anzi a volte questa sembra un punto di unione, altre di discordia.
Sono le situazioni storiche che ci rendono intelligenti e riflessivi, ma anche str... ». «Proprio così – interruppe il padre – siamo noi a volerci, nel bene comune, uguali e diversi allo stesso modo, siamo noi a determinare il tempo, i suoi valori di uguaglianza e diversità! Adesso prendi 5 euro e compra mezzo chilo di pane!».
Informazioni sul Festival,
seconda edizione:
Tema: Relazioni-Mediazioni
-Dal 26 settembre al 29 settembre:
Summer School of Humanities per
i soli iscritti.
-Dal 29 settembre al 2 ottobre
Festival di Filosofia: La Filosofia,
il Castello e la Torre – Ischia
International Festival of Philosophy
2016.
Oltre 60 filosofi da tutto il mondo.
60 relazioni e dibattiti
aperti al pubblico gratuitamente.
Si parlerà della diversità, sia essa
razziale, culturale, religiosa.
Il Festival prevede la campagna
“Vivere in Comune”: affissione di 25
pannelli lungo la strada dal Porto
d’Ischia al Castello Aragonese. Sui
pannelli ci saranno i pensieri scritti
dai ragazzi delle Scuole Medie
d’Ischia, dell’Istituto E. Mattei, del
Liceo Statale Ischia.
Una riflessione unica sulla
considerazione dello spazio
pubblico, della sua condivisione
attraverso il concetto di diversità.
info: www.lafilosofiailcastellolatorre.it
di Raffaele Mirelli