L’Arciconfraternita Visitapoveri
A FORIO QUATTRO SECOLI DI STORIA SENZA TEMPO.
Bisogna fare i conti col tempo. Un tempo che appare simile al Giano Bifronte, antica divinità romana. Fugge, con uno sguardo rivolto al passato che sapeva riconoscere e indovinare ma rimane fermo, immobile e impassibile, e gode nei suoi tratti essenziali degli intarsi sul legno della memoria, guardando al futuro. C’è un tempo che scorre e uno che resta fermo. Che fa i conti con se stesso, guardando dentro, ma che allo stesso tempo tutela ciò che produce con gli occhi a ciò che è fuori, per raggiungerlo. Che combatte a spada tratta contro le sue erosioni, ritmate dai passaggi di stagioni che si alternano sempre uguali e che scorrono lasciando i segni lungo i quattrocento anni di vita dell’ Arciconfraternita Visitapoveri. È questa la prima impressione, dopo ne compariranno altre allo sguardo attento del visitatore ve lo assicuro, non appena si varca la porta di un edificio all’apparenza mesto ma sobrio e maestoso. Circondato dal rione dei pescatori, la stradina si collega al vecchio molo borbonico, prende il nome anche di “Chiesa di Santa Maria di Visitapoveri”.
Nata inizialmente come Congrega, fu fondata, presumibilmente, secondo il ricercatore Agostino Di Lustro, tra il 1590 e il 1620 e aveva per compito principale l’assistenza sin dal 1656 attività che s’interruppe a causa della peste che colpì Forio. Ed è proprio l’autore, attraverso le pagine della monografia che ha dedicato all’ odierna Arciconfraternita, stampata prima nel 1983 e dopo nel 2014, che indica e guida il percorso in cui si palesano i tesori inestimabili custoditi al suo interno a una sola navata e sorreggono con disinvoltura ben quattro secoli di storia. Le testimonianze vive di chi vi ha dedicato molti dei suoi anni riguardano precetti, regole, tradizioni, tutte per forza adattate a una modernità amorfa ma che per concedersi autorevolezza si definisce evoluta pur restando incapace di comprendere il senso nascoso delle cose, che ha perso quello di marcia e mistificato ogni direzione. Comportamenti, azioni precise e puntuali come per esempio indossare l’alba dal cappuccio coprente con l’intento di velare, in momenti e riunioni particolari, il “confratello” dalla testa ai piedi in maniera pressoché totale, tutto ciò ha lasciato lo spazio all’uomo moderno, ma non al tempo.
Un uomo tuttavia incapace di cogliere i tratti essenziali e i “perché” di una ritualità a volte straordinaria composta di comandi suggestivi di tipo quasi monastico. Gli occhi e le parole di chi sente ancora vivo il richiamo della tradizione e che compone, oggi, il consiglio dell’Arciconfraternita, celebrano uno dei capolavori di un’isola che se da un lato non conosce se stessa, dall’altro ha imparato a conservarsi di fronte all’inesorabilità di un tempo senza senso come potrebbe essere il nostro. I dipinti del pittore Alfonso Di Spigna, bellissimi ovali che risalgono al 1770 e osservano il visitatore da ambo le pareti accompagnandolo lungo l’unica navata rettangolare sino all’altare di marmo dietro il quale sorge la finestrella che affaccia sulla Chiesa Del Soccorso. O le statue del “Cristo Risorto”, della “Madonna” e di “San Giovanni Apostolo” che discendono all’incirca dallo stesso periodo. Oppure quella dell’Angelo Annunciatore che pone le proprie radici nel 1600, diventano gli oggetti vivi e preziosi per l’appuntamento della tradizionale corsa dell’Angelo lungo la strada principale di Forio, la domenica di Pasqua. Ed è questo momento solenne che per oltre quattro secoli ha fissato un altro dei compiti essenziali dell’Arciconfraternita Visitapoveri che cela senza difficoltà, sul pavimento maiolicato del 1700, i passi di milioni di visitatori provenienti da un mondo profano ma che, superata la soglia d’ingresso, dentro, hanno avuto accesso a una dimensione che risplende sotto i raggi del sole che prepotenti entrano a illuminarlo. A ciò si aggiungono la cantoria e l’organo antico che, assieme al resto, rappresentano l’esercito e la prova della resistenza silenziosa al “tempus fugit” contro il quale niente e nessuno possono nulla. Sono questi testimoni che si oppongono con la solidità delle tradizioni a una temporalità insistente e decisa con la tenacia infallibile degli uomini e le donne dell’Arciconfraternita di Santa Maria Visita Poveri. La quale ha condotto la sua battaglia contro il nemico più astuto, il tempo, di fronte al quale l’uomo può poco o nulla se non impiegarne gli spazi nel miglior modo possibile. Il gruppo dei cinque consiglieri, oggi, è il punto centrale dell’Arciconfraternita e custodisce tradizioni e storie di relazioni umane che per quattrocento anni si sono intrecciate alla devozione osservante non mancando, in questo presente informe, di deporre le armi di fronte all’apertura e al cambiamento. Ed è al dio Giano Bifronte - detto il “Portinaio del Cielo” che apre l’anno e da lui prende il nome il mese di gennaio - dio che presiedeva ai “passaggi” non soltanto in senso spaziale ma, in specie, a quelli che indicavano il chiudersi di uno stato per favorire l’aprirsi di uno nuovo, che il senso di tutto ciò assume una forma ben precisa e definita. Proprio da gennaio alla guida del gruppo dell’Arciconfraternita – il prior ossia “colui che sta avanti” – per la prima volta sull’isola d’Ischia, è una donna. Maria Anna Verde, in questo senso, rappresenta “il primo” che era consacrato al dio italico e rappresenta il nuovo rispetto al precedente. Se un pomeriggio, all’imbrunire, passate a visitare l’Arciconfraternita non dimenticate di fare domande e soddisfare la sete di curiosità. Non dimenticate di percorrere la navata e di poggiare le mani a terra, sul pavimento, per sentirne il peso dei “passaggi”. Non scordate di oltrepassare l’altare imponente e dirigervi verso la piccola finestrella coperta dalla grata che fotografa la Chiesa del Soccorso. E non abbiate paura di perdervi dopo che vi avete lanciato gli occhi, alla ricerca di un Sole prudente trainato su un carro mentre si spegne per illuminare il passato nell’eterno passaggio a un nuovo giorno sull’avvenire. Con l’augurio che tutto ciò sia il preludio per la rinascita di un giorno nuovo.
DI GRAZIANO PETRUCCI