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Museo Archeologico
di Pithecusae
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Preistoria | *VIII-VII sec.* | VI-IV sec. | Età Ellenistica | Età Romana |
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La serie degli scarabei egiziani restituita dalla necropoli di Pithecusae è certo la più numerosa sinora trovata in una necropoli greca, e, se pure gli esemplari di Ischia non offrono elementi per una datazione più precisa della classe, va ricordato lo scarabeo di faïence della tomba 325, del Tardo Geometrico II, che reca inciso nel cartiglio il prenome Uakkara del faraone della XXIV dinastia, Bokchoris, che regnò dal 718/717 al 712 a.C. (inv. 167452).
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Corredo della Tomba 325 del Tardo Geometrico II, dalla necropoli, Valle di S. Montano (Lacco Ameno). 725-700 a.C. VETRINA XI |
Per la circostanza che del corredo della tomba - esposta nella vetrina 11 - fanno parte, con lo scarabeo, tre aryballoi globulari (vasetti contenitori di profumi) di stile protocorinzio antico, questa tomba rappresenta uno dei capisaldi per la datazione della ceramica di questo tipo, che a sua volta costituisce il più attendibile indicatore cronologico per la ceramica greca di altre fabbriche che si rinviene associata a quella protocorinzia. Prima del rinvenimento della tomba pitecusana la cronologia della ceramica greca dell'VIII-VII sec. a.C. era fondata sulle date tradizionali delle fondazioni delle colonie greche occidentali, mentre lo scarabeo di Ischia offre un'indicazione cronologica ben più precisa anche della famosa "tomba di Bokchoris" di Tarquinia, così detta dal vaso di pastiglia invetriata che porta impresso il nome dello stesso faraone.
Insieme con i sigilli e gli scarabei le importazioni dal vicino Oriente e dal Mediterraneo orientale sono testimoniate anche da diverse classi ceramiche, presenti nei corredi delle tombe esposte nelle vetrine e rappresentate da vasi che, per la loro particolarità, costituiscono degli esempi eccezionali. Un unicum è, ad esempio, l'aryballos con il collo configurato a testa femminile dalla tomba 215, del Tardo Geometrico II, importato dalla Siria Settentrionale (inv. 167034)
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Aryballos configurato con testa femminile, dalla Siria Settentrionale. Dalla necropoli, Valle di S. Montano (Lacco Ameno). VIII sec. a. C VETRINA XII |
Se ne conoscono altri due esemplari identici (di cui è conservata per altro soltanto la testa), uno dei quali proviene da Sencirli (Turchia, al confine con la Siria), l'altro da Tarsos (Turchia nord-occidentale).
Non rara è la ceramica fenicia, importata per lo più dal paese di origine di questo popolo, l'attuale Libano, specie quella caratteristica di colore rosso lucido (a ingubbiatura rossa o "Red Slip").
Del corredo della tomba 545, del Tardo Geometrico II, fa parte una lekythos fenicia con ingubbiatura rossa (inv. 168146); sono esposte anche scodelle carenate (inv. da 238585 a 238587) e piatti rinvenuti sia nella necropoli che nello scarico Gosetti sul Monte di Vico (inv. 238588, inv. 238589). Da segnalare è il frammento di piatto dal Monte di Vico (inv. 239086), sul cui fondo sono graffite delle lettere non identificabili. Fenicia è anche la lucerna bilicne (inv. 238584) proveniente dalla località Pastola; di tipo fenicio-cipriota è l'oinochoe piriforme importata dalla tomba 139, degli inizi dell'VIII sec. a.C. (inv. 166592).
Dall'isola di Rodi si importavano in gran quantità olii profumati contenuti in caratteristiche boccette dipinte con fasce di linee ondulate e cerchi concentrici, noti come aryballoi dei "Kreis und Wellenband Stil" (K.W.) o anche "Spaghetti-Style", la cui diffusione si deve all'energia commerciale dei Fenici di lalysos. Sono vasetti poco appariscenti e sempre mal conservati per la qualità della terracotta, ma il loro contenuto, probabilmente olio di rose, doveva essere assai apprezzato. Gli esemplari esposti (inv. da 238581 a 238583) fanno parte del corredo della tomba 1116, del Tardo Geometrico II, che ha restituito ben 40 di questi vasetti.
Orientale è l'aryballos dalla tomba 166 del Tardo Geometrico I (inv. 166760) cui è associata, con uno scarabeo di faïence con castone e pendente d'argento di produzione egiziana (inv. 166774), una piccola lekythos conica dal tipo comunemente detto "monocromo argivo" (inv. 166759). Questi piccoli vasi, provenienti dal Peloponneso ed attestati in moltissimi siti, sono fatti a mano in modo primitivo. Privi di decorazione dipinta, non hanno nessun pregio estetico, ed evidentemente dovevano essere tanto richiesti soltanto per qualche loro contenuto particolare. Secondo una recente, suggestiva ipotesi, essi contenevano una droga, l'oppio, in forma liquida o in polvere. Le proprietà narcotiche e sedative del succo estratto dalle capsule acerbe del papavero erano ben note ai Greci, e si può pensare che la droga sia stata messa nella tomba per alleviare le sofferenze dell'ultimo viaggio agli Inferi.
Un'altra piccola lekythos della stessa classe è presente fra i materiali della già ricordata tomba 325.
Oltre ai piccoli vasi a bocca stretta, quali aryballoi e lekythoi destinati, come sopra ricordato, a contenere olii profumati utilizzati verosimilmente soprattutto per ungere le salme, tanto che mentre abbondano nei corredi tombali si rinvengono solo molto raramente nelle abitazioni, sono indizi di commercio a lungo raggio, in quanto contenitori di prodotti importati, anche molte grandi anfore per lo più grezze. Di varia capacità, dai 25 ai 66 litri, erano destinate al trasporto di liquidi - vino ed olio - e talvolta forse anche di prodotti solidi sciolti.
Fenicio - o comunque di origine orientale - è un certo tipo di anfora da trasporto commerciale come quella della tomba 614, del Tardo Geometrico I (inv. 168380) e l'altro esemplare, più recente, dalla tomba 513 (inv. 168026); non localizzata con precisione è l'origine di altre e più frequenti anfore da trasporto a forma di ogiva, che studi recenti hanno ipotizzato provenienti da Cartagine. Ne sono esposti al centro della sala, con quelle di tipo fenicio, tre esemplari provenienti dalla necropoli, dove le anfore erano riutilizzate per le deposizioni di neonati e di bambini (sepoltura ad enchytrismos). L'anfora della tomba 339, del Tardo Geometrico II (inv. 167496), reca incisa sulla spalla una grande lettera sinistrosa F e, alla altezza dell'ansa, il segno X.
Nella vetrina 12 sono esposti oggetti importati da diverse regioni della Grecia. L'origine di questi vasi, apprezzati non solo come contenitori di prodotti, ma anche come raffinati elementi del servizio da tavola, può essere oggi agevolmente riconosciuta in base alla pasta, alla forma ed alla decorazione dipinta.
Molto frequentemente, per due secoli o poco meno, è stata importata a Pithecusae, come in tutto il mondo greco arcaico, la ceramica prodotta a Corinto, che era considerata particolarmente pregevole. Lo stile della sua decorazione dipinta, che cambiò costantemente nel tempo, è stato fatto oggetto di studi approfonditi, che ne hanno stabilito la datazione con notevole precisione; per questa ragione la ceramica corinzia costituisce un prezioso, e spesso disponibile, indicatore cronologico. I suoi vari periodi, detti "Tardo Geometrico Corinzio" (750-725 a.C.), "Protocorinzio Antico" (725-700 a.C.), "Medio" (700-650 a.C.) e "Tardo" (650-625 a.C.) sono tutti ben rappresentati a Pithecusae, tranne il più recente.