Index
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Indice

Piantina

Sale

Sala I
Neolitico
- Vetrine 1-2
Età del Bronzo
- Vetrina 3
- Vet. 4-5
Età del Ferro
- Vet. 6-9

VIII - VII sec.

Sala II
- Vetrina 10
- Vet. 11-12
- Vetrina 13
- Vetrina 14
- *Vetrina 15*
- Vet. 16-17
- Vetrina 18

Sala III
- Vet. 19-26

Sala IV
- Vet. 27-33

VI-IV sec.

Sala V
- Vet. 34-37

Sala VI
- Vet. 38-42

*Età Ellenistica

Sala VII
- Vet. 44-47
- Altri materiali

*Età Romana

Sala VIII
- Vet. 51-53
- Basi e pareti

 

Museo Archeologico di Pithecusae
Villa Arbusto di Lacco Ameno nell'Isola d'Ischia


Sala II - Vetrina 15
SECONDA META' VIII - VII sec. a. C.
Attività industriali
Industria metallurgica ed industria della ceramica

Industria metallurgica

Nella vetrina 15 sono esposte le testimonianze dell'industria metallurgica pitecusana, uno dei fattori principali che, con il commercio e la produzione di ceramica con l'argilla isolana, ha giustificato la fondazione ed assicurato la prosperità di Pithecusae durante la seconda metà dell'VIII sec. a. C.

Che la fondazione di Pithecusae abbia avuto principalmente ragioni di carattere commerciale e che sia stato più precisamente il desiderio di assicurarsi un conveniente punto d'appoggio e di smistamento per il commercio dei metalli e particolarmente del ferro della Toscana e dell'isola d'Elba a spingere gli Eubei ad insediarsi in una piccola isola cosi lontana e che non offriva considerevoli risorse agricole, è stato già supposto sin dal 1948 dall'archeologo inglese Thomas James Dunbabin, quando Ischia era ancora sconosciuta dal punto di vista archeologico. Gli scavi hanno confermato, almeno in parte, questa teoria. Non è stata infatti la sola fame di ferro a spingere gli Eubei così lontano,  perché  nella stessa Eubea, anzi nello stesso territorio di Calcide, si sono trovati giacimenti di minerali di ferro.

Bisogna pensare piuttosto che gli Eubei abbiano voluto mettere a profitto le proprie avanzate conoscenze della tecnica siderurgica apprese dall'Oriente costituendo ad Ischia un centro di fabbricazione e di smercio, presso le popolazioni emergenti dell'Italia centrale, di prodotti finiti di qualità superiore. Che ad Ischia si lavorasse minerale di ferro elbano è dimostrato, tra l'altro, dal rinvenimento di un pezzetto di minerale allo stato naturale (inv. 238645) che proviene sicuramente dall'isola d'Elba, e precisamente dalle miniere di Rio Marina.

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Officine per la lavorazione del bronzo e del ferro

Sulla collina di Mezzavia, in località Mazzola, si sono trovati i resti di strutture costruite con pietre a secco, a pianta rettangolare, absidata ed ovale, in cui si sono identificate officine per la lavorazione del bronzo e del ferro, una specie di quartiere metallurgico. Insieme a scorie e rifiuti della lavorazione - peraltro rinvenuti in gran quantità anche sull'Acropoli di Monte di Vico (inv. da 238646 a 238648) - è stato trovato, tra i residui della lavorazione dell'officina di un bronziere, anche uno scarto di fusione di una fibula con arco a piccola sanguisuga piena (inv. 238624), che conserva le bave di fusione ed è stato scartato per la staffa difettosa, risultata cioè troppo breve. E' provato dunque che le fibule, che così frequentemente si trovano nei corredi tombali, sono state se non tutte almeno in buona parte prodotte a Pithecusae stessa. E da notare anche che, con rare eccezioni, tutte le fibule rinvenute a Pithecusae ed a Cuma non sono di tipo greco, ma rappresentano forme in uso tra le popolazioni indigene dell'Italia meridionale e centrale, per cui è possibile immaginare che, com'è frequente in situazioni "di frontiera", la maggioranza delle donne dei coloni non fossero greche ma indigene, che volevano conservare i loro ornamenti abituali.

Questo edificio è stato identificato come l'officina di un bronziere anche per la presenza, al suo interno, di una fucina costituita da una struttura rettangolare circondata da mattoni di argilla cruda e per il materiale rinvenuto negli scarichi accumulati all'esterno dell'edificio stesso, che contenevano numerosi ritagli di lamina e filo di bronzo, gocce di scorie vetrose e pezzi di piombo.

Un altro reperto di notevole interesse, è un peso di bilancia di precisione, costituito da un anello di bronzo riempito di piombo, del diametro di 14 millimetri e lo spessore di 6 (inv. 238630). Il suo peso - gr. 879 - corrisponde esattamente al didrammo, o statere, del sistema  ponderale euboico. La presenza di questo peso, trovato in uno strato databile tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII sec., e quindi ben più antico della comparsa delle prime monete, che erano di metallo prezioso del peso corrispondente al valore delle stesse monete, attesta che a Pithecusae si lavoravano anche l'argento e l'oro.

Viene così confermato il noto passo del geografo greco Strabone, secondo il quale i primi abitanti di Pithecusae vivevano in prosperità grazie alla lavorazione dell'oro (e non delle miniere d'oro, come la parola greca chryseia è stata in passato erroneamente tradotta).

Sono esposti alcuni degli oggetti in metallo più significativi provenienti dal quartiere suburbano di Mazzola. Si segnalano una applique in forma di toro accovacciato (inv. 238622), una piccola ansa, sempre in bronzo, configurata in volto umano (inv. 238623), una borchietta a calotta semisferica (inv. 238625) ed una piccola papera in bronzo, priva delle zampe (inv. 238626).

Piccole appliques di bronzo in forma di torello e  in forma di papera; piccola ansetta in bronzo   con testa maschile; peso di bronzo e piombo (statere euboico, g 8,70), dalla località Mazzola (Lacco Ameno).

VETRINA XV

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Industria figulina

Nella stessa vetrina sono esposti anche i materiali che testimoniano l'esistenza, a Pithecusae, di una florida industria figulina.

La materia prima per la produzione della ceramica si trovava di buona qualità nella stessa isola d'Ischia, una circostanza del tutto insolita in terreni di recente formazione vulcanica. L'argilla ischitana,  infatti, non è altro che fango marino portato in alto quando il blocco centrale dell'isola, il monte Epomeo, si è risollevato.

Al centro della sala sono esposte le anfore di fabbricazione locale.

La produzione di anfore grezze pitecusane, dalla tipologia inconfondibile, è stata individuata da tempo, con le sue articolazioni in una forma A, derivante da modelli orientali con la variante del fondo piano, diffusa dal Tardo Geometrico (inv. 167505, dalla tomba 344 e inv. 167603, dalla tomba 365) al Protocorinzio Medio, ed in una B, diffusa dalla seconda metà del VII sino ai primi decenni del VI sec. a.C. (inv. 167253, dalla tomba 274, e inv. 167254, dalla tomba 275). La somiglianza delle anfore di tipo B con i primi contenitori commerciali etruschi ha generato la questione della originalità del tipo, che sembra però risolta in favore di un'origine pitecusana del modello, atteso che le più antiche anfore etrusche seguono cronologicamente di almeno un quarto di secolo la comparsa, a Pithecusae, del tipo B.

Tra le anfore databili al periodo Corinzio è da segnalare quella della tomba 285 (inv. 167313) che presenta nella zona delle anse, insieme ad alcuni segni graffiti, l'iscrizione retrograda Dàsimo, nome del proprietario dell'anfora e padre del neonato seppellito nell'anfora stessa. E' questa la più antica documentazione di questo nome messapico, diffuso in Apulia, che attesta la residenza ad Ischia, tra la fine del VII e gli inizi del VI sec. a.C., di un immigrato non greco.

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