Un tesoro in più
Uno dei luoghi che mi affascinano di più a Ischia è senz’altro il Castello Aragonese. Nonostante lo conosca bene, ogni volta mi sorprende per uno scorcio insolito, un colore diverso di qualche suo antico edificio, una pianta o un fiore che ancora non avevo notato.
Quest’anno la sorpresa maggiore l’ho trovata nella settecentesca chiesa dell’Immacolata: due affascinanti sarcofagi egizi e una tavola per mummia provenienti… da Bruxelles. Questo “fuori posto” ha suscitato in me pensieri ed emozioni che mi hanno spinto a raccogliere quanti più tasselli possibili.
Innanzitutto la loro origine: circa 300 anni prima che gli Eubei fondassero Pithekoussai, Ischia, la loro prima colonia in occidente, gli Egizi avevano già vissuto una lunga storia di 21 dinastie, caratterizzata da un’affascinante susseguirsi di faraoni (uomini e donne) e di battaglie, in cui però le figure dei sacerdoti restavano una costante immutabile e forte che spesso di fatto guidava il paese. Ed è proprio nel corso della XXI dinastia (1070-945 a.C.) che i “Primi Profeti di Amon” cioè i sacerdoti del tempio di questo dio a Tebe, che in sostanza governavano la regione in quel periodo, fanno costruire per sé e per i propri familiari un’enorme tomba dove troveranno posto 153 sarcofagi, a Deir el-Bahari in prossimità della tomba della grande regina Hatshepsut.
Come tutte le tombe delle valli dei Re e delle Regine, anche questa, riempita sembra in un arco di tempo piuttosto breve – una cinquantina d’anni – viene sigillata e nascosta, così da non finire preda dei tombaroli dell’epoca. E tale rimarrà, fino al gennaio 1891, quando viene scoperta, appunto, intatta.
La tomba, un lungo corridoio a L di circa 140 m, avrebbe potuto essere una miniera incredibile di notizie e informazioni, ma… con incredibile leggerezza in soli otto giorni, dal 5 al 13 febbraio 1891, il «nascondiglio di Bab el-Gasus (la porta dei sacerdoti)» come era stato chiamato, viene interamente svuotato senza che né un disegno né un rilievo o una foto vengano fatti, senza nessun tipo di catalogazione seria. Il materiale – 153 sarcofagi costituiti per lo più da doppie bare, l’una dentro l’altra, numerose “tavole per mummie” che ricoprivano il corpo del defunto e un numero incalcolabile di suppellettili funerarie – è velocemente trasferito al Cairo, dove si pensa anche a sbendare le mummie, chissà, forse per cercare i preziosi amuleti inseriti tra le bende. Poi tutto viene cacciato in un deposito, come un giocattolo rotto, di cui il bimbo si è stancato troppo in fretta. Anzi, siccome nei depositi di posto ce n’è poco, tre anni dopo gruppi di sarcofagi con un po’ di suppellettili sono ceduti a vari musei, tra cui i Musées Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles in Belgio, che ne ricevono dieci. Periglioso viaggio per mare e per ferrovia, “restauro” un po’ raffazzonato, dove quel che è perso è talora sostituito con interpretazioni personali e geroglifici fantasiosi, un’esposizione in condizioni un po’ precarie, e di nuovo un bel deposito.
Per me, però, le cose hanno un’anima che fa loro talora cercare un riscatto: così, “ritrovati” da qualche curatore più attento, si decide di cominciare a studiarne e a restaurarne due e si cerca chi c’è di meglio, nel campo del restauro ligneo, in Europa, e forse nel mondo.
I centri sono vari, ma quel piccolo Istituto Europeo del Restauro, laggiù, nell’isola d’Ischia, vanta una serie di lavori d’eccellenza che catturano l’attenzione, fra cui l’ottimo restauro dei mobili lignei carbonizzati trovati a Ercolano, oggetti che si sbriciolavano al solo sfiorarli e che ora invece sono splendidamente visibili. C’è stato anche il restauro di un altro sarcofago, nel curriculum dell’Istituto Europeo del Restauro e del suo direttore Teodoro Auricchio, quello di Shepsespath conservato ora presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma, e molte altre voci che hanno senz’altro pesato sulla scelta di affidare allo IER questi due sarcofagi, a riprova che il lavoro ben fatto sempre ripaga.
E così questi pezzi e la relativa tavola per mummia sono arrivati a Ischia nell’ottobre 2014, sono stati sottoposti a TAC presso l’ospedale Rizzoli, quindi trasportati quassù a piedi per gli antichi percorsi e accolti nel modulo laboratoriale-espositivo EUROPA, una stanza di vetro progettata apposta per loro sempre dal professor Auricchio, in modo da proteggerli ma anche da consentire agli esperti dei Musées Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles di seguire i lavori in diretta video e a tutti di ammirarli.
Qui si fermeranno fino a ottobre, per poi tornare a Bruxelles dove il lavoro continuerà.
Così approfitto per guardarli quanto più da vicino possibile, osservandone il colore di fondo (sarà quello originale o si è modificato con il tempo?), identificando quei pochi segni che la mia passione giovanile per l’antico Egitto mi fa riconoscere: l’ankh, quella specie di T sormontata da un anello, che significa “vita”; l’ureo, il cobra, simbolo di regalità, spesso rappresentato sulla fronte del sovrano per proteggerlo con il suo fiato infuocato; l’occhio di Ra; la piuma della dea Maat, simbolo dell’ordine cosmico, che serviva a pesare l’anima del defunto. E ancora: il disco del sole, la barca del defunto, gli dei dalla testa di animale… Ma anche il bel volto sereno dagli occhi bistrati dipinto a rilievo sul coperto e sulla tavola per mummia, le mani incrociate sul petto e ogni più piccolo particolare che riesco a cogliere.
Saranno poi gli esperti a raccontarci quanto altro avranno scoperto, forse anche a dare un nome a quelli che per ora sono solo dei numeri d’inventario. Ci parleranno delle tecniche usate per costruirli, dei legni riutilizzati, delle mani che li hanno dipinti.
Io posso solo fantasticare, sulla base delle poche notizie certe che abbiamo, su questi nuovi “ospiti” della nostra isola, pensando che la nostra stessa attenzione è un modo, in fondo, per riportarli in vita, per concedere loro una sorta d’immortalità.