I colori di Franco
Bisogna avere una vena romantica e un po’ d’immaginazione per tornare indietro nel tempo e ricordare come l’attuale stradina via Marina, a Forio, portava “abbasc o mare”. I ragazzini, come Franco Calise, probabilmente non riuscivano ad apprezzarne la bellezza inedita a causa dell’età. Il paesaggio era selvaggio, la spiaggia era lunga e sconfinata e la sabbia spesso valicava con i suoi granelli anche quella stradina larga poco più di un metro, appena più in la c’erano le bottegucce, dove si potevano acquistare gassose, vino e gelati.
Ricordi di bambini, Franco è uno di questi, nato nel cuore pulsante di Forio, è qui che sono custoditi anche i suoi ricordi di pittore e scultore.
A Forio, allora, era florido più che mai l’artigianato, non a caso la sua formazione avviene per dieci anni nella bottega di Taki, quello che descrive un uomo e un artista eccezionale, con cui si produceva tra tante risa.
“Appena maggiorenne, finito il militare, dopo sei mesi trascorsi in un supermercato come magazziniere, cominciai timidamente a portare delle cornici decorate con frutta in rilievo a Taki, che le vendeva. Fu proprio lui a riconoscere in me del talento, chiamandomi al suo fianco. L’allievo ha superato il maestro, mi ha detto in più di un’occasione e questo mi ha sempre reso orgoglioso, come lui è stato orgoglioso di me, fino a quando è scomparso”.
Pensare che la creatività e le pennellate che accarezzano e danno personalità alla ceramica come fogli bianchi su cui scrivere, sono nate e sono maturate in Franco che nel suo curriculum ha un diploma in agraria e due genitori, che nella vita hanno fatto tutt’altro. Qualcosa però nei geni di famiglia c’è, visto che anche la sorella, da un po’, ha cominciato a lavorare la ceramica a Bacoli.
Dall’1987 fino al 2008 il suo laboratorio era a via Matteo Verde, sempre a Forio, che ha lasciato per una parentesi caprese di quattro anni, prima di ritornare nel comune all’ombra del Torrione nel 2012, dove ha allestito una casa bottega nei locali della curia, che costituiscono le fondamenta della Chiesa di San Gaetano.
Prima questa stradina era abbandonata, residenti e turisti la utilizzavano come scorciatoia per arrivare in fretta al porto, ma adesso, via via, si sta animando grazie alla buona volontà dei commercianti, che in questa stretta e breve lingua dove si contano alcuni negozietti, un ristorante e le case che si arrampicano l’una sull’altra, hanno riportato un po’ di vita.
La prima cosa che ha fatto Franco è stata valorizzare l’esterno, dipingendo la strada che, come un tappeto, accompagna il passeggio, con fregi che si rifanno a un naufragio com’è indicato sulla coppa che è custodita insieme a quella di Nestore a Villa Arbusto, poi è spuntata una panchina in pietra, una piccola aiuola e chissà che non si continui su questa falsa riga.
“Il mio sogno sarebbe quello di realizzare una fontana proprio in piazza San Gaetano, ho il bozzetto, chissà…”. Le opere di Franco Calise sono conservate un po’ ovunque, basta guardare le insegne di alcune attività commerciali e nelle case di privati ischitani in America, Svizzera, Germania, Svezia, Giappone e Australia. La creazione più preziosa senz’altro è l’angelo realizzato per la tradizionale corsa del lunedì di Pasqua, che percorre le vie del corso richiamando ogni anno fedeli, curiosi e turisti. E’ stato lui a riprodurre una copia dall’originale, che è interamente in legno, e che la Sovrintendenza ha vietato di usare dal ‘94, commissionandone una nuova, in vetroresina, più leggera da trasportare, che ha preso forma da uno stampo d’argilla per riprenderne fedelmente tutti i tratti.
Anche Capri raccoglie la sua arte, con una panca ai Giardini d’Augusto imponente nei suoi cinque metri per un metro e sessanta e un pannello in maiolica che rappresenta la Madonna, che fa capolino a via Vittorio Emanuele, in un luogo che prima era considerato tabù. Proprio in questa finestra murata, dove nel dopoguerra era stato apposto un aneddoto mussoliniano poi rimosso, rimasta vuota fino a quando Franco non ha messo piede sull’isola della grotta Azzurra nel 2011. I capresi stanno ancora ringraziando.
Certo è piacevole vederlo al lavoro a decorare soprattutto di sera con la luce della lampada puntata sulle sue creazioni, cosa ormai rara, soprattutto perché basta poco per ritrovare poco più in là suppellettili cinesi su cui apporre solo il proprio nome.
Nella sua bottega, l’attenzione è catturata da oggetti piccoli e più ricercati che sono in mostra esposti in alcuni mobili di famiglia che lo seguono nelle sue peregrinazioni, una consolle napoletana Luigi Filippo, una credenza ischitana, uno spazio piccolo e intimo in cui ci sono i richiami del tufo verde, che poi cede il posto ai forni, agli smalti, all’argilla, ai colori e a una piccola veranda luminosa in cui è piacevole dipingere.
Quello che colpisce è l’ispirazione opulenta del barocco napoletano, massima espressione artistica come l’esempio del Caravaggio a cui si è particolarmente ispirato, ma la mano con il tempo si è evoluta, i soggetti si rifanno al classico e si sono arricchiti grazie all’esperienza caprese che lo ha messo in contatto con una realtà artistica assai vivace.
Così i colori vietresi della maiolica, come il giallo, l’ocra e il verde, sono stati sostituiti via via dall’utilizzo dell’azzurro così raffinato e rilassante, con inserti colorati. Come la collezione dei “Principi mercanti” cominciata a Capri e conclusa a Forio, caratterizzati da campiture in azzurro, vesti impreziositi dall’oro, e in cui si notano elementi di terra, come fichi, meloni, carciofi.
Balza all’occhio anche l’otre con una forma completamente realizzata a mano con alcune allegorie bucoliche, la lampada con il mezzo busto di una Venere che ha richiami decò, gli angeli che sono una delle sue caratteristiche principali e alcuni pesci in cui si possono intravedere espressioni umanoidi, ci sono anche quelli che definisce i suoi “gioielli”, cinque tipi diversi di pendenti realizzati in gres porcellanato con interventi in oro platino. Quella che ha più di tutte grande fascino e mistero è Medusa, che campeggia all’ingresso, statuaria nella sua espressione più tipica con tanti serpenti, è un soggetto molto caro a Franco, che rappresenta qualcosa di molto intimo e forte, che però non vuole svelare, quindi per il momento possiamo accontentarci della versione più classica della sconfitta sul male.