Sagre d'agosto, divertenti riti millenari
L ’isola d’Ischia è un luogo magico, a “cielo aperto per ferie”. Pronta ad accogliere visitatori e turisti d’ogni genere e nazionalità con la voglia di rilassarsi in quella che fu la prima colonia greca nel Mediterraneo.
Fu meta di scambi e relazioni commerciali tra i suoi coloni e il vicino Oriente e Cartagine, la Grecia e la Spagna, l’Etruria meridionale sino a raggiungere la Puglia, la Calabria e la Sardegna.
Chi vuole e lo desidera può immergersi tra i segni del passato, frequentando i musei come quello di Villa Arbusto che ospita la Coppa di Nestore che evoca Afrodite; ma soprattutto può navigare tra le tradizioni e percorrerne i solchi che ancora oggi ne qualificano le trame e svelano il forte legame e lo spirito di un’isola il cui tempo scorre lento, una dimensione che sgorga spontanea dalla «fonte della giovinezza» isolana. Il mese di agosto è il momento migliore per farlo. È il periodo che segna il divertimento e raggiunge l’acme, ricco di eventi e manifestazioni nelle quali bisogna bagnarsi le membra, e le labbra, per stabilire il contatto con il folclore, parte fresca e fondamentale della propria linfa vitale. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che le tante associazioni per la promozione e la valorizzazione del territorio, i volontari, i comitati organizzativi di eventi rionali,
spesso in stretta collaborazione con le amministrazioni e le parrocchie, dedicano gran parte del proprio tempo per preparare corridoi privilegiati per trasformare il turismo in un coacervo di gusti, di riti propiziatori e festivi. La sagra, dall’aggettivo latino «sacrum», è una festa in cui si offrono
i prodotti della terra e bontà locali. Termine a sua volta di derivazione latina la «festa» richiama alla memoria la «ricorrenza sacra», il «tempo festivo», il collegamento tra la parte profana e quella divina, tra il «luogo», posto fisico, e il «non luogo» trascendente. Prima le sagre erano festeggiate davanti ai
templi, mentre in epoca cristiana quello utilizzato era lo spazio davanti alle chiese, il sagrato, da cui la festa prende il nome. Somigliano per certi aspetti
ai «Bacchanalia», antiche festività romane a sfondo propiziatorio che accoglievano i rituali dedicati a Bacco. L’origine di questi è probabilmente più antica
e risale alla Magna Grecia e si è fortemente radicata nei territori campani e lucani. Feste prima dal contenuto orgiastico, solo in un secondo momento sono
diventate «portafortuna» in occasione della semina e della raccolta delle messi. Oggi, come nell’antichità, la similitudine al «Baccanale» vivifica e coinvolge le popolazioni del territorio che si riuniscono in un luogosimbolo per praticare il festeggiamento che ricorda quelli in onore delle migrazioni da
una stagione a quella successiva, la transumanza di animali e uomini da un postall’altro. Un luogo in cui s’intrecciano storie umane, racconti personali e individuali assieme alla vocazione di stringersi intorno alle tradizioni locali, ai sapori, al buon cibo e ai prodotti della terra, ai profumi, alle risa fragorose esaltate dal vino prodottdai contadini del posto. Tutto per favorire agevolare il flusso di un clima capace di superare il tempo, i confini tra le persone e togliere ogni ostacolo alla spedizione nella dimensione della «comunanza». La festa così si trasforma in un microcosmo variegato e complesso che porta lontano dalla sequenza delle normali attività quotidiane. Nel culto del cibo ci si oppone sistema costituito e ci si riappropria di sedel rapporto con l’ambiente, ci si alterna nel paesaggio della memoria per ambiralla riappropriazione di uno spazio di vita a misura d’uomo. Le «sagre» di Serrara Fontana, o quelle sparse nelle altre contrade dell’isola, raccontano un momento collettivo di condivisione comunitaria in cui il popolo recupera spazi di senso dove ognuno «partecipa attivamente» alla festa. Iun amplesso di sapori e odori, d’immagini e figure che stimolano la vista, di musica che traghetta il brusio felice di quelli che bevono alla coppa di Nestore per essere travolti dal desiderio di Afrodite dalla bella corona.
E volerne ancora, e ancora, e ancora.