Quell’aria più fresca
Sandra aspettava settembre.
L’aspettava dal 29 giugno, giorno in cui la famiglia si trasferiva armi e bagagli ad Ischia, portandosi dietro anche i materassi e il frigorifero. La scuola era finalmente finita e Sandra con fratellini e cuginetti sbarcava da quel traghetto il giorno di San Pietro e Paolo con una vibrante felicità fatta di attesa. La “terra promessa”, la chiamava in cuor suo, e pensava a quale piede doveva toccare il suolo “agognato” dell’isola verde.
Già dalla prima serata, la pizza a Ponte da “Di Massa” – ma poi si finiva sempre per mangiare il polpettoncino con il sugo rosso che colava ai lati della palla di carne imbottita di mozzarella - tra le bancarelle della festa, l’odore proibito dello zucchero filato, mandorle tostate e torrone, quei giocattoli di plastica colorati e ammiccanti terribilmente “cafoni”, le pistole ad acqua, le bolle di sapone e i tamburelli, rappresentava l’inizio di un’estate infinita. Si, perché l’estate negli anni sessanta non finiva mai. A Napoli non si tornava che agli inizi di ottobre, con la riapertura delle scuole.
La spiaggia del lido, allora enorme – i genitori, per arrivare dalla passerella di legno dello scorbutico Mimì fino alla prima fila di ombrelloni, bagnavano con i secchielli la sabbia bollente – era il teatro immutabile, sereno e vociante dei lunghi mesi di luglio e agosto. Forse ci si annoiava anche un po’, tutti i giorni uguali, con mamma che ci rincorreva per spalmarci sulle spalle la crema Nivea (protettiva!), i tuffi con la rincorsa e quel languorino quasi doloroso allo stomaco al passaggio dell’omino vestito di bianco, i capelli impomatati e un grande vassoio profumato portato in equilibrio tra la spalla e il braccio puntato sull’anca. «Graffeeee», urlava, ma Sandra sapeva che non avrebbe mai e poi mai potuto addentare quell’invitante ciambella fritta cosparsa di granelli di zucchero. Poi si tornava a casa, tutti a tavola alle due precise, dopo la doccia e una maglietta pulita, con l’obbligo del “riposino” nelle ora più calde. Ma Sandra, puntualmente, chiudeva la porta e usciva dalla finestra andando a “caccia” di gattini appena nati nella pineta che non c’è più. Lì, dietro piazza degli Eroi, c’era solo una grande pineta delimitata da via Variopinto, la pensione Geronda e una falegnameria dove Sandra, Cicci, Antonella, Piero si facevano fare – di nascosto – lunghe spade di legno per le loro battaglie con gli ischitani per la conquista del “fortino”, una roccia spuntuta in mezzo ai pini. Nel pomeriggio era permesso di nuovo scendere sulla spiaggia dove si andava a giocare “a tappi”, dietro le cabine arlecchino del Bagno Sirena, facendo la “pista” col popò di Piero, il più tondo e leggero, che veniva trascinato per i piedi sulla sabbia umida e compatta. Era una festa quando raramente si rimaneva a fare colazione sulla spiaggia e mamma scendeva più tardi con il cesto del picnic pieno di palle di riso e cotolette appena fatte… A volte, ma solo quando venivano i nonni, era permesso di prenotare Ciro e il suo cavallo bianco per andare fino a Mezzocammino in carrozzella.
Ma Sandra aspettava settembre. Aspettava quell’aria finalmente più fresca che faceva desiderare di indossare il “pulloverino”. Aspettava quei pomeriggi quasi autunnali quando si programmava di andare a fare il giro dell’isola e fermarsi a mangiare pane e salame (solo a settembre, solo a Serrara Fontana) su quella terrazza mozzafiato sospesa sul tramonto e su Sant’Angelo.